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La rinascita dei Cinque Stelle sotto la leadership contiana segna in apparenza la volontà di un ritorno alle origini post-ideologiche del Movimento. Né di destra né di sinistra, infatti, è il mantra con il quale i grillini si presentarono sul palcoscenico politico prima e su quello della governabilità poi. I risultati non sono stati brillanti. Per la semplice ma non aggirabile regola che ogni scelta di governo comporta una scelta di campo. Voler ignorare questo principio altro che padroneggiare le questioni decidendo di volta in volta: di fatto significa volteggiare su di esse scartando di qua e di la a seconda delle convenienze.

Un modello di non decisione che, inevitabilmente, si trasmuta nella capacità di salire su ogni carro che passa. Come è successo, per fare un esempio, sui decreti sicurezza, approvati con Salvini e disdetti con Zingaretti. Né-né sono come due pilastri che dovrebbero reggere una volta che invece manca. Sono due negazioni che non fanno una affermazione, non disegnano una identità: rigettando quelle di tutti gli altri si lascia il foglio bianco, rifiutando di volerci scrivere sopra. Non si afferma, piuttosto ci si mimetizza.

E in qualche caso ci si avvita su se stessi. Come sulla prescrizione o sulla Tav: questioni certo identitarie che però non accompagnandosi a niente e a nessun altro sono bandiere da piazzare. In attesa che qualcuno passandoci accanto le svelli.
Fuor di metafora. Né-né nella pratica politica può voler dire che le radici pentastellate sotto le insegne di Conte non affondano necessariamente nel campo della sinistra o dell’accordo con Pd.

E anzi sradicano la piantina innaffiata dall’ex segretario Democrat e da Bettini di Conte quale punto di riferimento dei progressisti. Può voler dire che nella prossima legislatura il M5S, fermo restando di capire quanto consenso raccoglierà nelle urne, si propone di diventare asse della governabilità non più basandosi sulla forza dei numeri bensì sulla possibilità di fare il pendolo tra l’uno e l’altro schieramento. Per riuscirci, è fondamentale una legge elettorale il più proporzionale possibile. Per ottenerla però, servono alleati. Chissà Conte a quali pensa.

Perché il né-né ideologicamente professato comporta il rischio dell’isolamento. L’agnosticismo di schieramento può alzare il valore marginale dell’offerta ma può anche determinare un atteggiamento di scarsa fiducia nell’interlocutore.
Messa così, il ritorno alle origini con il mito della purezza, della voglia di non contaminarsi minaccia di apparire come una fuga in avanti.

Soprattutto da parte di una forza politica che in questa legislatura ha ballato al ritmo dello spartito contrario: con-con invece di né-né. Pour cause: al governo con la Lega di Salvini prima; con il Pd di Zingaretti poi; con le larghe intese assieme all’uno e all’altro per ultimo, sotto il cappello di Mario Draghi.

Il né-né si traduce sul piano amministrativo con la conferma della candidatura di Virginia Raggi a Roma, spezzando in tal modo il costruendo legame con Enrico Letta che infatti blocca tutto in attesa di segnali di resipiscenza che chissà se arriveranno. Vuol dire provare a tessere, al contrario, un’alleanza con il Nazareno a Napoli mettendo un fossato politico a dividere le due città. Significa andare da soli a Torino e in altre metropoli, decretando in tal modo la sconfitta dell’uno e dell’altro schieramento: né-né che diventa strumentale non partecipazione.

La realtà è che il né-né così declinato invece di darla rischia di togliere forza. Di auto confinarsi nell’irresolutezza. Perché a qualunque livello, centrale o periferico, governare significa scegliere: nessuno meglio di Giuseppe Conte lo sa, visto che ha governato sia con la destra che con la sinistra. E scegliere vuol dire schierarsi, appunto contaminarsi. In altre epoche e lessici politici si sarebbe detto: sporcarsi le mani. È vero, le ideologie sono il passato, non torneranno più. Ma l’idea di galleggiare tra Scilla e Cariddi senza una rotta precisa, con qualche probabilità può portare alla salvezza; con molte di più al pericolo di naufragio.

Conte ed il gran ballo del né-né. Il mosaico di Fusi

A qualunque livello, centrale o periferico, governare significa scegliere: nessuno meglio di Giuseppe Conte lo sa, visto che ha governato sia con la destra che con la sinistra. E scegliere vuol dire schierarsi, appunto contaminarsi. In altre epoche e lessici politici si sarebbe detto: sporcarsi le mani. L’analisi di Carlo Fusi

Modelli di riferimento con metodologie vincenti e strategiche. La progettualità come innovativa essenza e come programmazione di eccellenza.

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