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Ancora una volta l’Europa si trova a un bivio. Da una parte la tentazione di perseguire un’autonomia strategica, dalla politica estera alla sicurezza delle tecnologie, che non sembra oggi a portata di mano. Dall’altra la ricerca di una sintonia con il suo più grande alleato, gli Stati Uniti di Joe Biden, e con il segretario di Stato americano Antony Blinken, impegnato in un tour che è partito da Berlino, è passato per Parigi e terminerà con tre giorni in Italia per il G20 e in Vaticano. Per Giampiero Massolo, presidente dell’Ispi e di Fincantieri, a lungo ambasciatore e già direttore generale del Dis, l’Italia di Mario Draghi ha l’occasione di mettersi alla testa del “pivot europeo” nel Mediterraneo.

Germania e Francia hanno fallito il blitz per un summit Ue con la Russia. L’era Merkel è finita?

L’iniziativa franco-tedesca non è stata preparata nel migliore dei modi. Certo, le elezioni in autunno non rafforzano la posizione della cancelliera, ormai al tramonto della sua carriera politica, e rendono più difficile il tradizionale lavoro tedesco di coordinamento dei partner dell’Europa centro-orientale. Ma c’è stato soprattutto un errore di valutazione.

Quale?

L’idea di un summit fra Ue e Russia nasce sull’onda del vertice di Ginevra fra Joe Biden e Vladimir Putin, forse sovrastimando la reale portata di quel faccia a faccia, che si è limitato a tracciare alcune linee rosse in materia di ingerenza e di attacchi cibernetici. Pensare che fosse il preludio a una forte iniziativa europea è stato prematuro.

C’è un altro dato: l’Ue dipende dal fianco Est. Sia nella vicenda Orban sui diritti civili, sia di fronte al pressing franco-tedesco per un incontro con Putin, a Bruxelles hanno dovuto fare i conti con le resistenze dei Balcani e degli Stati baltici.

Non è un mistero che i Paesi di quel quadrante per ragioni di sicurezza guardino più agli Stati Uniti che all’Ue. È anche vero che questa amministrazione americana è dichiaratamente intenzionata a rafforzare il coordinamento multilaterale con gli alleati e può fare da catalizzatore per un consenso europeo. Gli americani non hanno interesse a un’escalation con la Russia sul fronte orientale, né a un’accelerazione, come quella chiesta da Parigi e Berlino, che richiede un cambio del quadro strategico.

Questa domenica inizia la visita di tre giorni del segretario di Stato americano Antony Blinken in Italia. Si è tanto parlato dell’atlantismo del governo Draghi. Basta la retorica o serve qualcosa in più?

La retorica non è mai sufficiente, le alleanze si rafforzano agendo, non riposando sugli allori. La visita di Blinken ha tre direttive. La prima è multilaterale e ruota intorno alla riunione della Coalizione globale anti-Daesh. Per Washington DC la lotta al terrorismo islamico in Africa, specialmente nel Sahel, è una priorità. Non a caso sono stati invitati i vertici del formato G5.

Poi c’è il G20 di Bari-Matera presieduto dal governo italiano.

Un appuntamento cruciale che servirà per rafforzare la collaborazione multilaterale nel contenimento della pandemia e del riscaldamento globale. Il formato allargato si presta meno, invece, alla soluzione di crisi di politica estera.

Quali sono le carte che il governo italiano può giocarsi con l’amministrazione Biden?

La prima è il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo allargato, dalla Libia a Cipro, che suscita grande interesse a Washington DC. Gli Stati Uniti hanno la necessità di riequilibrare le forze in campo, attenuando la presenza egemonizzante di Russia e Turchia con il rafforzamento di un pivot europeo.

Perché guardano all’Italia?

Perché ha un’indiscussa capacità diplomatica in quella regione e, grazie ad Eni, una posizione di assoluto rilievo nella politica energetica del Mediterraneo. Nessuno si illude di “cacciare” Russia e Turchia, ma ci sono tutti i presupposti perché l’Italia possa farsi protagonista, insieme ai partner europei, di una forte iniziativa politico-diplomatica nel Mediterraneo centro-orientale.

In queste settimane si è tornato a parlare di Cina e Via della Seta. Blinken trova un’Italia che si è lasciata alle spalle le sbandate filo-cinesi degli scorsi anni?

Trova un’Italia che ha abbandonato una certa incoscienza della propria appartenenza nel mondo, e una visione a tratti adolescenziale della politica estera. Questo ovviamente non preclude interlocuzioni e contatti necessari con la Cina, segnatamente sui grandi temi di collaborazione multilaterale. La differenza, lo dimostra il programma di Draghi, è di metodo e di sostanza. Non abbiamo più bisogno di provare, dobbiamo passare all’azione.

Blinken sarà anche in Vaticano. In autunno il rinnovo dell’intesa fra Santa Sede e Cina ha allungato le distanze fra le due parti. Ora si aggiungono le polemiche sui diritti civili della Conferenza episcopale americana. Da dove si riparte?

Bisogna anzitutto ricordare che Biden è un presidente cattolico. Accanto ai rapporti fra Stati Uniti e Vaticano esiste un rapporto personale. L’Italia condivide lo stesso approccio del governo americano, che tutela in tutti i modi la libertà religiosa ma difende anche la natura laica dello Stato. Certo la Chiesa ha un potere che travalica la politica e investe il campo dell’autorevolezza morale. Blinken cercherà di sgombrare il terreno dai nodi più spinosi per trovare una sintonia sui grandi temi. Sia Biden sia papa Francesco hanno tutto l’interesse a una buona riuscita della visita.

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