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Bocche cucite sia a Palazzo Chigi sia ai ministeri dell’Economia e delle Finanze sia del Lavoro e degli Affari Sociali. Nessuna fa trapelare informazioni su cosa sono le intenzioni in materia di “partita delle pensioni” (come oramai si chiama in gergo) nella ormai imminente legge di bilancio. Non ci sono neanche bisbigli né sussurri. La materia è top secret. Almeno sino alla proclamazione dei risultati delle elezioni amministrative della ormai prossima ottobrata.

Perché tanto mistero? Il governo, e soprattutto le forze politiche dell’attuale maxi-maggioranza, sanno che il tema è dinamite. Può incidere sulle forze politiche e provocare nuove tensioni in Parlamento. Inoltre, le associazioni dei pensionati – soprattutto Leonida, un nome che è tutto un programma – sono vigili e sul piede di guerra, ossia decise ad orientare i voti di ottobre a favore di chi sostiene i loro argomenti e contro chi, invece, minaccia di mettere le mani nelle loro tasche.

L’ambiguità del silenzio è la strada scelta. Quanto potrà durare? Ci sono due scadenze immediate. Da un lato, scade quota 100, che era stata introdotta a titolo sperimentale per un triennio. Da un altro, termina, per volere della Corte Costituzionale, quella misura chiamata contributo di solidarietà voluta fortemente dal Movimento 5 Stelle (M5S).

La fine di quota 100, per cui non pare che la Lega (che la propose inizialmente) chieda una proroga, apre comunque un problema. Se non si fa nulla, ci sarà uno “scalone” che porterà l’età per la pensione di vecchiaia a 67 anni, con alcune eccezioni (statali, donne, addetti a lavori usuranti, e via discorrendo). Sono state formulate varie proposte per evitare lo “scalone”: il guaio è che tutte costano ed in questa fase la finanza pubblica è tutt’altro che florida.

La prospettiva dello scalone ha anche innescato un dibattito su età per la pensione di vecchiaia nel quadro di un riassetto generale del sistema previdenziale. Molte parti coinvolte in tale dibattito vorrebbero “portare qualcosa a casa” (da mostrare ai loro sostenitori) in occasione della legge di bilancio.

Ed è difficile che si riesca a trovare una sintesi in queste settimane, anche perché una nuova riforma della previdenza non è nel cronoprogramma delle misure concordate con l’Unione europea (Ue) ed incluse nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il Presidente del Consiglio ha, quindi, buon gioco a dire a chi sostiene questo approccio, “fate prima i compiti a casa in materia di riforme inserite nel Pnrr e concordate con l’Ue”, ad esempio una drastica revisione degli ammortizzatori sociali.

Più complesso il caso dcl contributo di solidarietà che colpisce molto circa 25 mila pensionati, genera pochi risparmi ed è stato più volte oggetto di perplessità da parte della Corte Costituzionale. È, però, un vessillo del M5S. Luigi Di Maio lo ha chiamato “la morte, per sempre, delle pensioni d’oro” e si è impegnato in un lotta ad alzo zero. Inoltre, avverrebbe proprio quando un altro vessillo del M5S (quel reddito di cittadinanza che avrebbe dovuto significare la fine della povertà) deve essere messo a mezz’asta a ragione dell’esperienza tutt’altro che positiva degli ultimi due anni.

Il M5S è alla ricerca di alleati sia per un rinnovo del contributo di solidarietà (in una forma che faccia meno arricciare il naso alla Corte Costituzionale) sia per salvare il salvabile del reddito di cittadinanza. Guarda ovviamente a Enrico Letta? Quest’ultimo è pronto a perdere il voto della borghesia senese e a fare perdere quello dei pariolini a Gualtieri (e via discorrendo) per fare una cortesia a quel Di Maio di cui è stato a lungo feroce avversario?

Mario Draghi osserva e sorride.

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