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È troppo presto per sapere che fine farà il movimento di protesta di quella parte delle giovani generazioni cinesi che si riconosce nel tangping (躺平) — rimanere sdraiati—, nato per protestare contro le condizioni di lavoro nel settore produttivo. Sarà interessante capire, dunque, se tangping è una semplice scalfittura del granitico sistema confucian-comunista che sostiene il paradosso di un liberismo dirigista, oppure se è una crepa che può allargarsi e indebolirlo fino a renderlo ancora meno distinguibile da un puro sistema di economia di mercato.

Con una certa ingenuità, alcuni commenti hanno analizzato il fenomeno utilizzando categorie tipicamente occidentali. Hanno riproposto in chiave moderna una visione romantica dell’essere rispetto all’avere oppure formulato critiche ageé al lavoro come falso idolo che accomunano in modo alquanto forzato gli eventi cinesi alla situazione americana. Altri hanno più correttamente rilevato come l’indipendenza produttiva sia, per la Cina, un obiettivo strategico potenzialmente messo in discussione da Rimanere Sdraiati.

L’indipendenza industriale e la supremazia tecnologica richiedono una gran quantità di lavoratori che non necessariamente devono voler migliorare le proprie condizioni sociali aspirando a diventare parte della classe dei white collar.

In altri termini, nella sua strategia (geo)politica, la Cina non può permettersi che la centralità dell’industria manifatturiera e tecnologica sia indebolita dalla mancanza di lavoratori. Questo implica, in nome dei superiori interessi della madrepatria e del partito, limitare il numero di piani percorribili con l’ascensore sociale e dunque impedire alla classe operaia e a quella media di emanciparsi dalla propria condizione oltre un certo limite.

Tuttavia, come insegna la storia, soltanto l’intima adesione del popolo ad un progetto politico consente di mantenere il controllo nelle mani della classe dominante. Raggiungere questo obiettivo implica fare in modo che la masse non si allontanino dall’ortodossia e che, dunque, non siano esposte a modelli culturali che disfano il tessuto sociale o introducono disordine. Da qui, come già facevano le Xenelasia del re spartano Licurgo, la necessità di controllare la circolazione delle idee e limitare i contatti con l’esterno ricorrendo a leggi e propaganda.

Il paragone con Sparta è meno fuori luogo di quanto possa sembrare. Tangping è infatti dichiaratamente (e semplicisticamente) ispirato dalla figura di Diogene della quale riprende l’immagine esteriore del vivere in una botte. Ora, non è importante che il riferimento sia filosoficamente corretto, ma che alla base della protesta ci sia un’idea straniera nel senso che “arriva da fuori” ed estranea perché non contemplata nella dottrina ufficiale. 

La reazione del Partito si è manifestata a più livelli: rimozione dei contenuti online che veicolavano l’idea “aliena”, blocco della vendita di abbigliamento che inneggiava al movimento, ma anche lancio di un’intensa campagna stampa basata sul concetto di tradimento dei valori nazionali e del dovere di contribuire con ogni mezzo alla crescita del Paese. 

La difficoltà del contrastare tangping, tuttavia, sta nella natura non violenta del movimento, il cui modus operandi è basato sull’idea che “quando ci si chiama fuori dal giro… non è più possibile essere falciati, come spiega l’immagine pubblicata su un social media cinese lo scorso maggio. Una falce si agita invano perchè le piante sono ripiegate su loro stesse, e sdraiate a terra. La didascalia dice “porri sdraiati non si raccolgono facilmente”. Ma, verrebbe da chiosare, anche se non si possono falciare, i porri sdraiati possono essere ugualmente schiacciati con i trattori…

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