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Il Paese aveva bisogno di una rotta e Mario Draghi, alla fine, quella rotta l’ha tracciata. Adesso non resta che mollare gli ormeggi, avviare i motori e spingere sull’acceleratore. Certo, bisogna prima mettere carburante a sufficienza nei serbatoi, come i 40 miliardi di nuovo deficit da convertire in una nuova tornata di aiuti alle imprese che non hanno smarrito del tutto la via del business. Ma, per Antonio Misiani, ex viceministro dell’Economia nel governo Conte-bis e oggi responsabile Economia del Pd, vale la pena tentare.

Il premier Draghi ha indicato il 26 aprile come una data di svolta verso un parziale ritorno alla normalità. Che sensazione le fa dopo tredici mesi di pandemia?

Avevamo chiesto una road map per le riaperture, graduale, in sicurezza e irreversibile. Per questo, riteniamo ragionevole quanto promesso da questo governo. Una promessa che noi difenderemo con lealtà. Un calendario di riaperture era necessario e credo che il governo abbia fatto un buon lavoro. Il compromesso è equilibrato, noi ci riconosciamo in pieno nelle scelte del governo.

Molti esperti hanno giudicato prematura la svolta di Draghi…

Dobbiamo mettere fine al derby aperturisti/rigoristi, alla lotteria delle date e dobbiamo dare certezze. Il punto è come riaprire. C’è un piano di vaccinazione, stabiliamo degli obiettivi, verifichiamoli regione per regione e su questi, oltre che in relazione ai dati epidemiologici, riapriamo progressivamente e allentiamo le misure.

Cosa pensa della proposta, giunta dal ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, di calibrare gli indennizzi alle imprese sulla base dell’impatto della pandemia sui margini e non sui fatturati?

In astratto è una proposta sensata, ma ci sono diverse problematiche e criticità da punto di vista dell’applicazione. I tempi si dilaterebbero molto, si finirebbe per dare i ristori in autunno inoltrato e questo per molte aziende sarebbe penalizzante. La soluzione preferibile è una replica in automatico di quanto fatto con il primo decreto sostegni, accompagnata da un robusto intervento sui costi fissi delle imprese, energia, bollette e altro.

Cosa risponde a chi sostiene che il decreto Sostegni-Bis sia ancora intriso di misure di emergenza, con scarsa propensione alla crescita?

Finché permane l’emergenza sarà inevitabile investire molte risorse per le categorie più a rischio. Ovviamente bisogna disegnare una strategia per la crescita, rafforzando tutte le misure finalizzate allo sviluppo. Nei 40 miliardi di scostamento questo obiettivo in realtà c’è, perché c’è il finanziamento al Fondo complementare per gli investimenti che si va ad aggiungere al Recovery Plan. E comunque ricordiamoci sempre che i dati Istat sulla riduzione del reddito e dei consumi confermano la necessità di proseguire con le misure di sostegno per le famiglie e le imprese, fin quando non avremo una copertura vaccinale adeguata.

Tra poco più di una settimana il premier invierà a Bruxelles la bozza definitiva del Recovery Plan. Che cosa non si deve sbagliare davvero?

Sicuramente le procedure di attuazione del Piano nazionale. Se continueremo a metterci anni per realizzare le opere pubbliche noi non andremo da nessuna parte. In questo senso credo sia vitale, e sottolineo vitale, predisporre collateralmente all’invio del Piano a Bruxelles, un decreto che abbracci la fase operativa, l’esecuzione del Piano stesso. Perché i tempi di attuazione saranno fondamentali.

Nove decreti di emergenza hanno partorito 200 miliardi di deficit aggiuntivo. Avremo un problema debito nei prossimi anni?

Nel breve periodo no, il debito rimarrà sostenibile anche grazie alla sospensione fino al 2022 del Patto di Stabilità. Ciò detto il problema del debito non può essere derubricato e la via maestra è la crescita. E questo è scritto anche nel Documento di economia e finanza 2021.

 

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