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Chi si ricorda i talebani del secolo scorso oggi può incorrere in momenti di dissonanza cognitiva; solo vent’anni fa la loro interpretazione radicale della legge coranica vietava le fotografie. Negli scorsi giorni, una foto emersa su Twitter ha ritratto un gruppo di combattenti talebani, divisa e fucile a tracolla, mentre gustano un gelato nelle vie di Kabul. Degli altri, sempre armati, sono stati ripresi agli autoscontri, altri ancora hanno usufruito delle giostre. Un’altra immagine che circola sembra fatta apposta per Instagram, con un gruppo di miliziani armati che posano davanti a un tramonto spettacolare e caption in pashto e inglese che recita “IN UN’ATMOSFERA DI LIBERTÀ”. Mentre il sito ufficiale dei talebani è disponibile in pashto, dari, arabo, urdu e inglese (solo le prime due lingue sono diffuse in Afghanistan).

Anche a livello istituzionale non trapela l’immagine, consolidata nell’immaginario collettivo, di rudi guerrieri fondamentalisti. Durante la sua prima conferenza stampa il portavoce del nuovo Emirato Islamico dell’Afghanistan, Zabihullah Mujahid, ha mostrato un volto moderato: amnistia generale, niente rappresaglie, mantenimento dei corridoi umanitari, possibilità per le donne di continuare a studiare “in accordo con la sharia” (ancora da chiarire la compatibilità di queste due affermazioni). Un altro portavoce, Suhail Shaheen, rassicura residenti e stranieri via Twitter e si è anche fatto intervistare in diretta da una giornalista a volto scoperto, impensabile un ventennio fa.

Gli analisi del New York Times e del Washington Post hanno dato contezza delle migliaia di profili pro-talebani apparsi negli ultimi tempi sui social, dediti a rilanciare contenuti che lodano il gruppo. Al tempo stesso, sono gli afghani stessi a dimostrare che di questa facciata moderata non si fidano. Basta guardare alle persone che pur di scappare si aggrappano agli aerei, alle testimonianze di chi cancella da internet i propri profili social, alle donne che si nascondono. Kabul ha gli occhi del mondo puntati addosso e la situazione sembra calma, ma da altre province arrivano testimonianze (difficili da verificare) di esecuzioni sommarie e vendette contro i “collaborazionisti” del precedente governo.

La strategia social dei talebani è stata sviscerata dal Digital Forensics Research Lab dell’Atlantic Council. Il senior fellow Emerson Brooking ha spiegato al WaPo che il gruppo ha iniziato a utilizzare i blog per la propaganda nei primi anni duemila. Gli integralisti hanno fatto la loro comparsa su Twitter nel 2011, su Telegram nel 2014. Entro il 2019 avevano iniziato a manipolare gli hashtag, utilizzando quelli in tendenza per veicolare i propri messaggi. Oggi il numero di account dediti a rilanciare la propaganda in concerto – e su svariate piattaforme – suggerisce un’azione concertata di una équipe di professionisti che lavora a tempo pieno.

“L’uso dei social da parte dei talebani è intenzionale. Sanno che sulla scena mondiale hanno bisogno di presentare un volto pubblico responsabile per ottenere più legittimità”, ha detto al NYT il direttore del laboratorio, Graham Brookie. La testata americana ha tracciato un parallelismo con le attività di Hamas nella Striscia di Gaza e Hezbollah in Libano, entrambi dediti a mostrare la loro facciata più morbida e compassionevole al mondo, in più lingue. Tutti questi gruppi hanno anche dimostrato una certa agilità nell’aggirare i ban imposti dai social media (perlopiù statunitensi, dunque soggetti alle designazioni del Dipartimento di Giustizia) evitando di postare contenuti all’infuori delle linee guida e variando leggermente gli slogan in modo da essere meno visibili agli algoritmi di controllo.

La facciata istituzionale moderata, l’agio nel presentarsi sui social, la campagna digitale coordinata: tutto fa pensare a una charm offensive pensata per rilanciare, redimere e legittimare l’immagine del gruppo fondamentalista agli occhi della comunità internazionale. La visibilità dei post talebani è in aumento: i video caricati dal gruppo su YouTube ora contano decine di migliaia di visualizzazioni, mentre il NYT riporta che gli iscritti alle loro pagine ufficiali sono appena aumentati del 120%, fino a sforare la soglia dei 50.000 mercoledì.

Contando che le compagnie dietro alle piattaforme fanno fatica a contenere tali operazioni – e non sanno se, quanti e quali ufficiali talebani bannare, essendo che potrebbero presto essere ufficiali governativi con un qualche grado di legittimazioni – è solo questione di tempo prima che qualcuno si convinca che il gruppo integralista, fautore di tante atrocità, sia un ente con cui normalizzare i rapporti.

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