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Abbiamo un obiettivo: azzerare le emissioni di gas serra, a cominciare dalla produzione e uso di energia. È una sfida difficilissima: affrontarla portandosi dietro un fardello di pregiudizi significa fallimento certo. Proviamo allora a mettere da parte opinioni, convinzioni, sentito dire, scelte politiche errate e analizziamo i fatti, che – si sa – sono piuttosto insensibili alle opinioni.

Nel primo semestre 2024 la Francia ha prodotto energia elettrica per il proprio fabbisogno (218 terawattora, TWh) e ne ha esportata un bel po’ (45 TWh), emettendo 30,6 grammi di CO2 per kilowattora (kWh) generato. La Germania (con un fabbisogno di 225 TWh) ha importato 11 TWh e per generare il resto ha emesso 367 grammi di CO2 per kWh: dodici volte più della Francia.

In Italia abbiamo importato 27 dei 129 TWh di domanda e per il resto abbiamo emesso 300 grammi di CO2 per kWh. Il 20% in meno della Germania, ma pur sempre dieci volte più della Francia. Va da sé che i 45 TWh esportati dalla Francia hanno soddisfatto gran parte dei 38 TWh importati da Germania e Italia.

La Francia ha abbattuto le emissioni nel settore elettrico, collegando in rete tra il 1977 e il 1987 40 gigawatt (GW) nucleari, e le ha mantenute al livello attuale aumentando ulteriormente la potenza nucleare e installando una quota di eolico e solare.

Per contro la Germania, che ha rinunciato al nucleare, nonostante abbia installato negli ultimi venti anni 160 GW tra solare ed eolico, oggi emette ancora dodici volte più della Francia. E al tasso di riduzione registrato negli ultimi otto anni ne impiegherà almeno altri 40 per arrivare (se mai accadrà) al livello della Francia.

Tutte le analisi di scenario di lungo termine mostrano che per azzerare le emissioni nette di gas serra la strada più efficace passa per una maggiore elettrificazione dei consumi. Peraltro, elettrificare trasporti e riscaldamento aumenta l’efficienza. E per i settori hard to abate, al posto degli idrocarburi fossili dovremo usare idrocarburi di sintesi, ottenuti a partire da idrogeno da elettrolisi dell’acqua, per il quale servirà ulteriore energia elettrica.

Con il risultato che in tutti i Paesi sviluppati la domanda elettrica aumenterà a più del doppio dell’attuale. In Italia sino a 700 TWh, contro gli attuali 310! La tassonomia verde europea stabilisce che le fonti idonee alla decarbonizzazione, eleggibili per gli investimenti destinati allo scopo, sono rinnovabili e nucleare.

Perché, come scrive il Centro comune di ricerca, “non vi è alcuna prova scientifica che il nucleare faccia più danni alla salute umana o all’ambiente rispetto ad altre tecnologie della tassonomia verde europea”. Tra le tecnologie della tassonomia ve ne sono di modulabili (idroelettrico, geotermico, biomasse, nucleare) e di variabili/intermittenti (solare ed eolico), le quali sono anche “sincrone”, cioè impianti dello stesso tipo, collocati per esempio in una provincia italiana, per quanto numerosi, producono tutti insieme.

Pertanto vi saranno ore della giornata e periodi dell’anno con eccesso di produzione rispetto alla domanda e, specularmente, ore e periodi con produzione insufficiente. Inoltre le fonti variabili hanno costi di generazione dipendenti dal potenziale locale della risorsa primaria che sfruttano.

Per esempio, un impianto eolico offshore in Inghilterra può essere realizzato con fondazioni fisse (grazie alla modesta profondità in vastissime aree del mare del Nord), quindi con costi di impianto di circa la metà di uno analogo galleggiante, e può lavorare già oggi oltre quattromila ore/anno, contro le circa tremila di un impianto galleggiante lungo le coste dell’Italia meridionale e insulare.

Con il risultato che il costo dell’energia di quello galleggiante in Italia sarà più che il doppio di quello in Inghilterra, né questa condizione cambierà in futuro. Considerazioni opposte valgono per il solare. Tuttavia in questo caso pesa la forte stagionalità della produzione, per cui occorre aumentare la potenza solare installata per generare abbastanza energia d’inverno accettando di averne troppa, inutilizzabile, d’estate.

Tra le tecnologie idonee, le rinnovabili variabili sono le più “sparse”, il nucleare il più “concentrato”. Una centrale nucleare multireattore, per complessivi cinque GW, occupa 200 ettari e genera in continuità (niente accumuli) la stessa energia di 40mila ettari ricoperti da pannelli fotovoltaici o di 200mila ettari “cosparsi” da aerogeneratori da 160 metri di diametro e 200 metri di altezza. A cui bisogna aggiungere i sistemi di accumulo con i relativi ingombri.

I fatti impongono di simulare attentamente il sistema elettrico che si vuole decarbonizzare, tenendo conto dei reali profili orari di tutte le fonti e tecnologie a bassa emissione per calcolare quanta potenza installare per ciascuna tecnologia di generazione e di accumulo e per le reti di trasmissione e distribuzione, in modo da soddisfare, ora per ora, il fabbisogno di tutti i carichi. Definendo così i costi complessivi per ciascuno scenario considerato, con o senza una quota nucleare.

Si scopre così che in Italia un mix di rinnovabili e nucleare è più sostenibile di una soluzione 100% rinnovabile, in termini di superfici occupate, materiali impegnati nella costruzione degli impianti, emissioni nel ciclo di vita, costi complessivi del sistema. Per farlo servono conoscenza, coraggio e autentica assenza di pregiudizi. Senza questi ingredienti è impossibile operare la scelta ottimale.

Analisi pubblicata sulla rivista Formiche di agosto 

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