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Le misure restrittive come l’obbligo delle mascherine e le limitazioni negli spostamenti  vanno bene;  gli agenti esterni ambientali non sono ancora la prova  dell’aggravamento della diffusione del coronavirus. L’Organizzazione Meteorologica Mondiale delle Nazioni Unite dice la sua sulla diffusione del virus nel mondo. Lo fa studiando  fattori ambientali importanti e disponibili per abbassare  alcune preoccupazioni. Per l’Italia lo studio è reso noto dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’ambiente (SNPA) . 

È da un anno che questo genere di ricerche fanno il giro del mondo avallate da Università e Centri qualificati che hanno studiato i fenomeni in campo. La pianura padana, per dire, è stata più volte osservata per gli effetti delle polveri  sottili e degli scarichi industriali non ancora a norma. Le  Regioni sono state sollecitate a prendere misure di tutela anche al di fuori della diffusione dell’epidemia. Le Agenzie regionali ambientali hanno incrementato i controlli.

Ma  quanto  pesa  la qualità dell’aria esterna sulla propagazione del virus? Quanto fa male respirare aria inquinata, appesantita da ogni genere di scarichi ? Gli scienziati  di OMM sostengono che i dati raccolti  non sono ancora sufficienti a ritenere l’aria esterna un fattore peggiorativo.

«Ci sono alcune evidenze preliminari che la scarsa qualità dell’aria possa aggravare i sintomi e aumentare i tassi di mortalità per Covid-19, ma non che l’inquinamento influisca direttamente sulla trasmissione per via aerea del virus Sars-Cov-2» riporta il SNPA. Lo studio si occupa dell’esterno, lasciando ad altri approfondimenti i fenomeni indoor. Va detto, comunque, che altre ricerche e numerosi epidemiologi hanno stabilito la necessità  del ricambio e della purificazione periodica  dell’aria  dentro gli  ambienti e non solo, evidentemente, nelle zone ad alto inquinamento.

C’è comunque una forte relazione del COVID con le stagioni e gli eventi atmosferici che deve far tenere alta la guardia. La  lotta al virus è in corso , ma se dovesse persistere anche per il futuro,  i meteorologi sono portati a classificarla come malattia stagionale. Come un raffreddore, ma più grave.  Anche in questo caso mancano ancora approfondimenti.

Però si stima  una combinazione di “impatti diretti sulla sopravvivenza del virus, sulla resistenza umana all’infezione e influenza indiretta del meteo e delle stagioni attraverso i cambiamenti nei comportamenti delle persone”. Ancora. Le analisi a supporto dicono che il virus sopravvive più a lungo in condizioni di bassa temperatura, bassa umidità e bassa radiazione ultravioletta. Da questo punto di vista l’Italia ha di che prendere nota.

Oltre alle misure sanitarie,  emerge la capacità complessiva dell’analisi della pandemia che non risparmia nessun settore della vita sociale. Virologi ed epidemiologi danno  informazioni a getto continuo informazioni a getto continuo e talvolta producono effetti contrari a quelli esplicativi, sperati.

Gli agenti inquinanti e le distorsioni industriali  nocive vanno corrette, ma l’Organizzazione meteorologica lamenta che molti studi sui fattori aggravanti del Covid sono stati compiuti velocemente. Molti hanno  mostrato difetti metodologici  e  dati carenti.  Il campo della ricerca e delle simulazioni deve essere capace, invece, di valutare la genesi della pandemia e delle varianti, purtroppo, combinando meteo, clima e qualità dell’aria. Una sintesi da cercare tenacemente, a nostro parere, quando si cominciano a fare previsioni ottimistiche sull’uscita dall’incubo.

Come clima e inquinamento influiscono sul Covid. Lo studio Onu

Ma  quanto  pesa  la qualità dell’aria esterna sulla propagazione del virus? Quanto fa male respirare aria inquinata, appesantita da ogni genere di scarichi? C’è una forte relazione del Covid con le stagioni e gli eventi atmosferici che deve far tenere alta la guardia

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