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Non una difesa identitaria dell’orto green, ma lavorare su una via diversa per aprirsi e accettare la sfida della transizione ecologica, anche come transizione economica, nella consapevolezza che non serve diluirsi in vari altri partiti come fatto da alcuni ecologisti nel Pd.

Rossella Muroni sceglie questa analisi, di merito e di metodo, per spiegare a Formiche.net il suo addio a Leu per provare a costruire una nuova rete verde in Italia. Più che alla Germania, dice, guarderanno ai Verdi francesi, con una certezza: in Italia occorre superare le esperienze storiche e l’eccessiva balcanizzazione di sigle e soggetti.

Transizione ecologica e verdi: la sua scelta quale scatto di responsabilità presuppone?

Penso che sia importante in questo momento avere in Parlamento un punto di vista ecologista. Volendo essere fedele alla mia storia, provo a esercitare in questo scorcio di mandato il mio ruolo di parlamentare con maggiore libertà, portando avanti una presenza che incalzi il governo sui temi della transizione ecologica. È vero che si apre un grande spazio, ma esiste anche il rischio di greenwashing in cui tutto è transizione ecologica ed invece io sono consapevole che in questo momento essa necessiti di radicalità: che non vuol dire estremismo, ma scelte coerenti. Che, ad esempio, ci facciano scrivere un Pnrr in linea con gli obiettivi dell’Ue: penso al fronte della lotta al mutamento climatico, o del green new deal. Quindi il Parlamento diventa il luogo in cui esercitare dovere di critica e di sollecitazione al governo affinché questa azione sia davvero coerente.

I Verdi tedeschi guidati dal tandem Habeck-Baerbock sono in rampa di lancio in Germania. E in Italia?

In Italia in questo momento occorrono generosità e coraggio per mettersi in rete e provare ad ottenere un processo di riconoscimento e di superamento delle esperienze storiche e anche di quel frazionamento fatto di mille associazioni o mille soggetti.

Con quale piglio?

Dovranno avere la capacità di portare in politica un punto di vista nuovo che parte sì da un’esperienza storica, ma che ha bisogno adesso di tanto altro. Ad esempio di dialogare, in maniera serrata, sia con il mondo della green economy e con quelle numerose imprese che investono in qualità ambientale, ma anche con l’associazionismo cattolico che sul fronte della lotta al mutamento climatico si sta impegnando non poco. Per cui oltre al coraggio, cito la curiosità verso quanto si sta muovendo nel paese. Penso ai giovani dei Fridays for future e agli altri movimenti di giovani attivisti, che sono riusciti dove noi ambientalisti storici non siamo riusciti: riempire le piazze in difesa del clima.

Quale sarà la vostra proposta green su un tema complesso come l’ex Ilva di Taranto?

Naturalmente non posso parlare a nome dei Verdi. Penso che una proposta ecologista su nodi storici come quelli debba poter contemperare, in primis, la difesa della salute dei cittadini. Il fatto che esista a Taranto il fenomeno del wind day, ovvero giornate caratterizzate da venti intensi e assenza di precipitazioni che determinano un impatto negativo sulla qualità dell’aria nel quartiere Tamburi, rendendo impossibile agli studenti andare a scuola, sia un segnale di mancanza di diritti che l’Italia non dovrebbe più permettere. Per cui investire in innovazione ma al contempo immaginando per Taranto un disegno diverso, come si leggeva in un progetto siglato dall’ex ministro Lorenzo Fioramonti per dotare la città di un polo tecnologico sui nuovi carburanti. Non possiamo lasciare Taranto nel Novecento e pensare al futuro della transizione ecologica.

Come giudica il fatto che in Italia le sorti dei Verdi sono state alternate e non sono sfociate in un partito stabilmente rappresentato in Parlamento? Quale l’errore da non ripetere quindi?

Credo che non dovremo diluirci in soggetti altri, come insegna la vicenda del Pd, dove sono entrati tantissimi ecologisti che hanno provato a rinverdire quel partito: è una strategia che non ha funzionato. Inoltre dovremo evitare di chiuderci in una difesa identitaria: va trovata una via diversa per aprirsi e accettare la sfida della transizione ecologica anche come transizione economica, puntando sulla difesa della biodiversità. La qualità dell’ambiente porta anche nuovi posti di lavoro.

Anche Beppe Sala sceglie la svolta green per Milano, ma si ricandida nei Verdi europei e non nel Pd. Significa che l’elemento green è tornato all’attenzione anche di altre esperienze come le amministrative?

Lo penso fortemente, sarà questa la via italiana alla costruzione di una rete verde. Spesso si citano i Verdi tedeschi che hanno un storia lunga e diversa dalla nostra. Mi ispirerei piuttosto ai francesi che, nonostante gli scarsi risultati all’Assemblea Nazionale, in occasione delle amministrative hanno poi saputo fare massa ed essere una proposta politica capace di tenere assieme la territorialità e una visione generale di sviluppo sostenibile. La sfida delle città, quindi, sarà cruciale, e non mi sorprende la decisione di Sala, per un ecologismo che vuole crescere nelle città.

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