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Conosco e stimo Enrico Letta e sono convinto che la sua elezione al vertice del Pd sarà un importante contributo non solo al suo partito ma a tutto il quadro politico del Paese, in un momento, come l’attuale, molto complicato, ma rigoglioso di opportunità come poche altre volte nella storia recente.

Letta è in grado di portare con sé, nella sua nuova mission, un “pensiero’’, di indicare un orizzonte in un sistema politico che gira intorno a se stesso come un povero gattino cieco. Ed è per questi motivi che mi prendo la libertà e l’arbitrio di svolgere abusivamente l’incarico di ghost writer dell’intervento che Letta farà domani dopo l’investitura da parte della Assemblea nazionale.

Gli consiglio di cominciare adattando l’incipit di un celebre discorso parlamentare di Aldo Moro con queste parole: “Da questo momento il Pd non si farà più processare sui quotidiani e i talk show. E non chiederà più scusa a nessuno: né alle periferie, né alle classi lavoratrici, né ai giovani o alle donne, tanto meno ai pensionati. Perché non ha nulla di cui vergognarsi. Tanto meno deve pentirsi di essere votato dai quartieri Ztl delle città. In queste settimane ne abbiamo sentite di ogni: autorevoli commentatori ci hanno invitato a ‘fare un giro all’opposizione’ come se non ci fossimo mai stati negli ultimi decenni e agli inizi di questa legislatura. Ci hanno invitato a scioglierci e a rifondarci, a cambiare nome, a riscoprire vocazioni a cui dicono che abbiamo rinunciato. Ma dove esiste nello schieramento politico del Paese un partito come il nostro? Il Pd ha tanti problemi, anche seri; è dominato da frazioni che esprimono solo posizioni di piccolo cabotaggio.

Guardate come parlano i giornali di noi: ognuno è ‘vicino’ ad un capobastone differente (e all’interno delle correnti ci sono persino i capobastoncini). Eppure, il nostro è il solo partito che ha un dibattito interno, degli organismi eletti, uno statuto (probabilmente da rivedere perché troppo complicato), un gruppo dirigente plurale. Siamo un partito in un contesto di satrapie. E un partito ha le sedi dove discutere ed aggiornare la linea tra un Congresso e l’altro.

Ad ogni passaggio critico tanti di noi si rifugiano nella richiesta di Congressi straordinari, come se queste adunate fossero una specie di Cammino di Santiago di Campostela: basta iniziare il percorso perché la fede si rafforzi un po’ alla volta fino all’arrivo nella Cattedrale che custodisce le reliquie dell’Apostolo. La realtà è un’altra. Scriveva Concetto Marchesi che quanti si accingono a compiere una ricerca hanno già in mente ciò che troveranno, perché ‘chi parte dal Nulla, arriva al Nulla’.

Nella storia del movimento operaio i Congressi sono sempre stati convocati per ratificare una linea già presente nel dibattito del gruppo dirigente; magari le linee possono essere più di una e in contrasto tra loro. Come dice, però, la Genesi: prima era il verbo; il pensiero. Altrimenti non troveremo la risposta parlandoci addosso e rimirando l’ombelico. Un Congresso è come una stanza di albergo in cui il cliente trova solo quello che ha portato con sé’’.

A questo punto Letta potrebbe fare una pausa, bere un po’ d’acqua, poi riprendere a parlare guardandosi attorno e fissando negli occhi ognuno dei capi corrente.

“Nei giorni scorsi, quando il Parlamento ha votato la fiducia al governo Draghi, i miei amici francesi mi hanno chiesto se di mezzo ci fosse l’intercessione di papa Francesco perché avvenisse un miracolo. Sarà perché questi processi li ho seguiti da lontano, mentre voi li avete vissuti, io non credevo alle mie orecchie; ma vi rendete conto di quanto è successo in meno di tre anni? Dalle elezioni del 2018 il Pd è uscito con le ossa rotte e non ha mai avuto il coraggio di analizzare seriamente le ragioni di quella sconfitta. Il Paese era caduto nelle mani di una maggioranza sovran-populista che mise a repentaglio i conti pubblici, entrò in conflitto con l’Europa, provocò più danni con il bullismo dei caporioni giallo-verdi che con le azioni concrete.

La politica italiana era diventata un fenomeno da baraccone, dove tutti i peracottari del pianeta venivano a studiare il ‘laboratorio’, da cui uscivano virus, al confronto dei quali il Covid-19 somiglia ad una banale orticaria. Guardiamoci intorno oggi. Siamo la componente essenziale di un governo il cui premier gode dell’ammirazione e della fiducia dei nostri partner e dei mercati. Il fantasma dello spread è andato a nascondersi perché non fa più paura a nessuno; se ci sappiamo fare possiamo disporre di risorse con le quali, in un arco temporale di sei anni, possiamo rimettere sui binari l’Italia.

L’attuale esecutivo ha messo le carte in tavola e tracciato un perimetro all’interno del quale – come si diceva da piccoli a ‘nascondino’- chi è fuori è fuori chi è dentro è dentro. ‘Questo governo – ha affermato Draghi in senato – nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori. Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro, significa condividere la prospettiva di un’Unione europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione’.

Di fronte a queste affermazioni, Matteo Salvini non ha battuto ciglio. E i ministri della Lega sono persone serie e preparate e nessuno di loro si è mai fatto scappare un ‘fora i negher’ o ha mai accusato la Commissione europea di essere dei ‘cravattari’. Certo, il Pd non è stato quasi mai l’ideatore e il principale protagonista delle svolte che ci hanno portato per aspera ad astra alla situazione di oggi.

Per fortuna c’è sempre stato qualcuno che ha visto più lontano di noi, che ci ha indirizzato, magari a calci nel sedere, sulla strada giusta e ci ha evitato di commettere errori esiziali, come sarebbe stato quello di andare a votare dopo la crisi del Conte I. Ora siamo in campo. Eravamo pronti a giocare con il Casalecchio football club, invece ci siamo trovati promossi in serie A. Qualcuno di noi si era invaghito di Giuseppi (badate: il suo ruolo è stato fondamentale nel mettere Salvini a bagnomaria e nel ripulire il M5S); spero, tuttavia, non fino al punto di preferire un Conte II al posto di un Draghi 1. Poi, abbiamo tempo e tante altre cose da fare: se sono rose fioriranno’’.

Mi chiedo – in conclusione – come reagirebbe l’Assemblea nazionale dopo un discorso così. Ma non ha detto Letta che a lui non interessa l’unanimità ma la verità?

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