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Quando si usava ancora ragionare di politica con le chiavi di lettura della politica e non della gradevolezza mediatica del leader carismatico o delle tecniche di distrazione di massa, si chiedeva ai partiti una cosa prima di ogni altra: qual è la visione dell’Italia che proponi? E lì si verificava il miracolo dell’identificazione tra militanti e partito, con l’adesione ad una “weltanschauung” che incardinava nella formazione politica la sua base descrivendo così la parabola dei partiti democratici di massa.

Adesso siamo di fronte a fenomeni proteiformi che chiamiamo partiti ma che sono, sostanzialmente, brand acchiappatutto poggiati sul fascino temporaneo del capo e sulla vaghezza della proposta politica, destinata a durare il tempo di una campagna pubblicitaria. Così, alla domanda “che Pd potrà essere quello di Letta”, la risposta non può che rinviarsi ad una nuova domanda: che idea dell’Italia avrebbe il nuovo Pd? Perché di quello di Zingaretti-Bettini, segnato da un andamento zigzagante per alleanze e antagonismi, fedeltà (si pensi al forever and ever nei confronti di Conte premier) e nuovi innamoramenti, si capiva una cosa in modo chiaro: la visione di un nuovo rassemblement a sinistra, ultima stazione, forse, il rientro a casa dei fratelli separati Speranza, Bersani eccetera.

Letta, per biografia, stile, cultura, visione della politica, è fuori da questo schema e meglio si identifica con una posizione riformista, con connotati fortemente europeisti più prossima ad una ispirazione liberal-democratica, con Dna certificato dai cromosomi della sinistra democristiana con imprinting “andreattiano” (con la “a” e non con la “o” dopo “andre”). Che significherebbe nel Pd in marcia verso la riconquista dei fratelli separati a sinistra? A meno di considerare l’avvento del nuovo segretario solo come l’esibizione di una degna figura, simbolicamente recuperata al protagonismo nel partito dopo l’estromissione dal governo fatta dal segretario del Pd dell’epoca, Matteo Renzi, per prenderne il posto, la segreteria di Letta dovrebbe rappresentare una linea politica significativamente diversa da quella dell’ultima segreteria. Una linea, per semplificare i riferimenti, più attenta all’istanza liberal-democratica e centrista. Ma questo come si concilia con la maggioranza attuale nel Pd, ultima formazione politica a praticare l’antica procedura dei congressi, luoghi in cui le correnti – elemento costitutivo di tutte le associazioni politiche nel mondo – diventano vere e proprie istituzioni interne con capacità di incidere anche nel governo?

Credo che nelle 48 ore di riflessione (e nel bouquet delle condizioni poste ai maggiorenti interni) chieste da Letta prima di dichiarare formalmente l’accettazione dell’incarico, ci sia anche la richiesta di chiarezza sull’idea dell’Italia che il nuovo Pd dovrà condividere con lui. La scelta emozionale però è già fatta: simbolicamente torna tra le sue mani quella campanella da premier che Renzi gli strappò dalle mani davanti alle telecamere nella sala di Palazzo Chigi. Era il 22 febbraio del 2014. Sette anni dopo Letta è tornato a furor di popolo, Renzi non è più segretario e neanche presidente del Consiglio, fa il capo di un partito piccolo piccolo e non si sa se al prossimo giro riuscirà a portare a casa qualche eletto. Un finale da Conte di Montecristo: come si può rinunciare…

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Phisikk du role - Letta e la weltanschauung del Pd

Nelle 48 ore di riflessione (e nel bouquet delle condizioni poste ai maggiorenti interni) chieste da Letta prima di dichiarare formalmente l’accettazione dell’incarico, credo ci sia stata anche la richiesta di chiarezza sull’idea dell’Italia che il nuovo Pd dovrà condividere con lui

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