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Mentre cresce la distanza tra le democrazie occidentali e Cina e Russia, si rinsalda l’asse tra queste ultime. Lunedì il presidente russo Vladimir Putin e quello cinese Xi Jinging si sono incontrati virtualmente per celebrare il 20° anniversario del Trattato di buon vicinato e cooperazione amichevole tra i due Paesi, annunciandone l’estensione di altri cinque anni nella dichiarazione congiunta a seguire.

Il Trattato, firmato nel 2001 da Putin stesso e dal presidente della Cina al tempo, Jiang Zemin, funge da base per il partenariato strategico tra le due potenze asiatiche. Cooperazione anzitutto pratica, perché la Cina rappresenta il partner commerciale più importante per la Russia, mentre Pechino è ben contenta di poter contare sull’approvvigionamento energetico di Mosca.

Tuttavia, il tratto più cruciale del rinnovo di questo Trattato ha valore simbolico, contribuisce alla creazione di un polo internazionale alternativo al rule-based world order secondo l’interpretazione occidentale. O almeno, così si vendono. Di fronte alle sanzioni e agli ammonimenti occidentali riguardo al rispetto dei diritti umani e dell’integrità territoriale di territori terzi, sia Mosca che Pechino tendono a reagire con sdegno, invitando gli interlocutori a non interferire nelle questioni che loro vedono come domestiche (Hong Kong e la Crimea saltano alla mente) e sminuendo la posizione occidentale, talvolta in sincrono.

Difficile non notare l’enfasi che Putin, secondo l’agenzia stampa russa Tass, ha voluto mettere sulla questione. “In questo documento sono sanciti accordi fondamentali come il sostegno reciproco nella protezione dell’unità statale e dell’integrità territoriale, l’impegno a non essere i primi a usare armi nucleari e a non colpire missili strategici l’uno contro l’altro – tali accordi sono molto significativi nel mondo moderno – e rispetto del diritto sovrano di scegliere un sistema sociale e una via di sviluppo, e non ingerenza negli affari interni”.

Sempre Tass riporta che le relazioni russo-cinesi, al “punto più alto di sempre”, servono come “esempio di  cooperazione intergovernativa nel 21° secolo” e sono essenziali per “un ordine globale più equo […] tra la crescente turbolenza geopolitica, la rottura degli accordi sul controllo degli armamenti e il crescente potenziale di conflitto in vari angoli del mondo, il coordinamento russo-cinese svolge un ruolo stabilizzatore negli affari globali”, ha detto il presidente russo in riferimento, tra le altre cose, alle situazioni in Siria e Afghanistan e allo stato dell’accordo iraniano sul nucleare.

Il passaggio è stato ripetuto, più o meno alla lettera, da Xi. “La cooperazione Cina-Russia imprime uno slancio positivo alla comunità internazionale in un momento in cui il mondo sta attraversando profondi cambiamenti e l’umanità sta affrontando molteplici crisi di sviluppo, [e] costituisce un esempio per un nuovo tipo di relazioni internazionali”, ha detto il presidente cinese secondo il Global Times, megafono in lingua inglese del Partito comunista. L’articolo continua asserendo che i continui contatti tra i due leader “sono un colpo pesante per i tentativi occidentali di rompere l’amicizia tra Cina e Russia”.

È solo naturale che i due leader autoritari abbiano voluto dimostrare a favore di telecamera la loro comunanza di vedute. Oltre ad aver fornito ottimo materiale per i rispettivi apparati di propaganda, l’incontro virtuale funge da segnale per chi osserva, specie da ovest: non siamo soli, i nostri modelli sono un’alternativa a quelli occidentali, resisteremo all’”ostilità dell’Occidente” (Global Times). Il nervosismo nei riguardi di azioni decisive da parte di detto Occidente è, quantomeno, palpabile.

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