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Con lo storico viaggio in Iraq di Papa Francesco il tema del dialogo inter-religioso è diventato accessibile, comprensibile a una larga fetta di popolazione nei suoi risvolti profondi, che passano dalla pace e dalla stabilità. L’Iraq, paese martoriato dal settarismo, è un simbolo, in una regione delicatissima.

La questione delle minoranze etniche e religiose irachene è un tema ancora molto sentito e percepito come profondamente divisivo in buona parte della popolazione e del Medio Oriente. “Questioni che affondano le proprie radici ben al di là nel tempo e che soprattutto nei decenni di potere di Saddam Hussein (1979-2003) hanno trovato una grande eco internazionale per via delle violenze condotte nei confronti delle popolazioni curdo-irachene presenti nel nord del Paese”, spiegano Giuseppe Dentice (head del Mena Desk del CeSI) e Giuseppe Palazzo in un report per il think tank italiano.

“Infatti, nel periodo intercorso tra la fine del regime di Saddam Hussein e il tentativo di procedere ad una transizione democratica nel Paese (2003-2013), la questione delle minoranze è sempre stata al di fuori delle priorità dell’agenda politica del governo centrale”: così il report fotografa la situazione di partenza in Iraq. In quel periodo, ricordano gli analisti, le politiche sempre più assertive e settarie attuate dall’allora primo ministro, Nouri al-Maliki, alla guida di un governo a maggioranza sciita, hanno favorito non solo la marginalizzazione della componente arabo-sunnita, al potere nel Paese sin dagli anni Venti del Novecento, ma “hanno prodotto un accentramento del potere decisionale nell’ufficio del Premier, il quale si è servito di alcune frange delle forze di sicurezza per intimidire i propri avversari politici e reprimere ogni dissenso, anche nei confronti delle minoranze etnico-religiose (e per lo più cristiane)”.

Una condizione che se da un lato ha favorito una netta lottizzazione di potere tra i tre principali gruppi etnico-religiosi nazionali (sunniti, curdi e sciiti), de facto ha scontentato le altre realtà sul territorio, indebolendole da un punto di vista della legittimità e del riconoscimento di tutele e diritti. “In questo contesto — continua l’analisi del CeSI — si è inserito e ha potuto germogliare la furia iconoclasta dello Stato Islamico (dal 2013), il quale si è caratterizzato non solo per un radicalismo ideologico e fondamentalista, ma anche per una diffusa pratica di violenze generalizzate contro tutte quelle popolazioni locali minoritarie (in particolare nei confronti di Cristiani e Yazidi), ritenute infedeli e/o miscredenti”.

Proprio il peculiare sistema iracheno, “basato sulla debolezza delle istituzioni, sulla frammentarietà e il settarismo, vede in questi elementi di fragilità delle caratteristiche intrinseche e connaturate alla storia del Paese e allo stesso progetto imperfetto di state-building nazionale, che determina ancora oggi il vero nodo gordiano attorno al quale rimangono irrisolte la gran parte dei temi di acredine politico”. È qui, su queste faglie profonde e articolate descritte nell’analisi del CeSI, che diventa comprensibile il valore di quella presenza di Francesco. Dall’incontro con Sistani alla visita all’ex baghdadista Mosul, alle comunità cristiane perseguitate, a Erbil.

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