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Pasqua, ancora una volta, sarà blindata. Sfuma infatti, nel solco dell’ultimo Dpcm emanato dal governo Draghi, qualsiasi ipotesi di libertà. Nel documento che entrerà in vigore il prossimo 6 marzo, prevale la linea delle restrizioni più stringenti. Il tentativo, si sa, è quello di contenere il più possibile il livello dei contagi. I ristoranti la sera resteranno chiusi ovunque, e come nel primissimo lockdown dovranno abbassare le saracinesche parrucchieri e barbieri nelle zone rosse, nonostante la protesta dell’associazione di settore. Ancora, il coprifuoco dalle 22 alle 5 e viene confermato il divieto spostamenti tra confini fino al 27 marzo.

Se ai tempi del Conte bis ad opporsi fermamente a questi provvedimenti c’era – ça va sans dire – l’opposizione, oggi è dall’interno dell’esecutivo che qualcuno rumoreggia. Forse anche a causa del fatto che lo scacchiere della maggioranza è quasi totalmente trasversale, mentre dall’altra parte della barricata siede solo Fratelli d’Italia assieme allo sparuto gruppo di grillini ribelli.

D’altro canto “ci sono forze politiche che hanno la necessità di mantenere una forma di continuità rispetto all’esecutivo passato, mentre al contrario altri che hanno l’esigenza di marcare una discontinuità dal Conte Bis”. L’unico elemento di certezza è che “la forma del Dpcm vada abbandonata”. Ne è convinto Giovanni Guzzetta, giurista e ordinario di Istituzioni di diritto pubblico al dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma ‘Tor Vergata’, che analizza il ‘caso’ Dpcm sotto due punti di vista: uno di merito e uno di metodo.

“Sul merito c’è poco da dire – spiega il docente – tanto più che si tratta di provvedimenti dei quali scopriremo gli effetti una volta applicati. Va detto comunque che, differentemente rispetto a quanto avvenuto in passato, il Premier ha anticipato la bozza del documento”. Ma è sul metodo che si insinua il dubbio. “L’avvicendarsi dei governi – puntualizza Guzzetta – ha sempre una prima fase di transizione nella quale continuità e discontinuità coesistono. A questo punto si tratta di capire se, come è successo in passato, l’adozione dei Dpcm sarà una scelta strutturale oppure un retaggio di un percorso passato. Va detto che la fase che sta attraversando il Paese è delicata, per cui i cambiamenti non devono essere repentini”.

Che però la forma del Dpcm sia inadeguata “l’ha ribadito a più riprese anche Sabino Cassese. Dal punto di vista metodologico però – prosegue il cattedratico – il problema lambisce anche altri aspetti: primo fra tutti il coinvolgimento delle Regioni e la leale collaborazione con lo Stato centrale. Aspetto quest’ultimo, pesantemente sottovalutato e trattato in maniera lacunosa dal precedente Governo”. Basti pensare al fatto che, al netto della Conferenza Stato-Regioni “non esiste un luogo di confronto stabile e permanente che permetta una concertazione tra il Governo e i territori”.

L’alternativa al decreto del presidente del Consiglio ci sarebbe. “E’ il tanto abusato decreto legge – ironizza il docente – per decenni utilizzato a sproposito e ora dimenticato a favore di un provvedimento che è totalmente eccentrico rispetto al nostro sistema”. Sotto il profilo politico, Guzzetta è consapevole che “si tratta di una sfida molto complessa perché a Draghi spetta il compito di tenere assieme una maggioranza disomogenea che, anche in questo frangente, manifesta evidenti differenze. Da un lato il Pd e il Movimento 5 Stelle che rimangono ancorati ai retaggi delle metodologie passate, mentre la Lega e Forza Italia hanno necessità di smarcarsi da un sistema che hanno pesantemente criticato”.

Il busillis è proprio capire quale sarà la linea prevalente tra le diverse anime che convivono all’Esecutivo. “Non so se ci sarà una linea prevalente – riprende Guzzetta – tuttavia il mio auspicio è che finalmente si esca dalla logica dicotomica che vede i ‘passatisti’ contrapporsi ai ‘discontinuisti’. Spero che la metodologia del Governo Draghi sia totalmente nuova: una mossa del Cavallo, della quale abbiamo avuto i primi sentori nell’ambito dei vaccini”.

Tuttavia il problema dei partiti e del sistema politico in generale, secondo le previsioni del docente, si manifesterà prepotentemente dopo l’era Draghi. “I partiti stanno sperimentando l’unità nazionale – chiude – ma il grande tema è quello della ricostruzione di un’identità, nel momento in cui si tornerà alla dialettica politica tradizionale. Il paragone col dopoguerra è calzante, ancorché preoccupante: dopo i primi afflati unitari, la democrazia non ha funzionato in modo corretto. Non c’è stata alternanza, ma un sistema politico pressoché bloccato”.

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