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Lo scatto del Dragone. Dopo settimane, mesi, di annunci, la Cina apre ufficialmente le danze sullo yuan digitale, la moneta emessa dalla banca centrale, con corso legale e destinata, secondo molti osservatori a mettere in seria discussione la sovranità monetaria del dollaro. Che Pechino lavori pancia a terra a una valuta digitale di Stato è fin troppo noto, così come sono note le regioni. Primo, lo yuan digitale è lo strumento con cui il governo centrale aumenterà sensibilmente il grip sulle transazioni finanziarie. E, secondo, la valuta digitale rappresenta la leva con cui provare a dare la spallata finale a Bitcoin&Co, finita nel mirino cinese da diverso tempo.

E così, nel giorno in cui da Hong Kong arriva il clamoroso annuncio che sarà possibile pagare in criptovalute un’opera di Banksy battuta all’asta per 4,1 milioni di dollari, la Cina immette ufficialmente sul mercato la prima tranche pilota di yuan digitali. Come? Distribuendo 40 milioni di yuan (6,2 milioni di dollari)in forma digitale ai cittadini di Pechino, in una lotteria. In altre parole, i residenti della capitale cinese potranno da oggi utilizzare due app bancarie per richiedere di vincere uno tra i 200 mila pacchetti virtuali contenenti la moneta, da poter spendere liberamente per l’acquisto di beni e servizi.

Di fatto ad oggi si tratta della prima immissione di yuan virtuali nel mercato cinese, un’operazione che, benché locale, apre formalmente la strada al lancio della moneta di Stato digitale su scala nazionale. Addirittura, a sentire il governatore della Pboc, la banca centrale, Li Bo, lo stesso istituto centrale amplierà la portata dei suoi progetti pilota e potrebbe persino consentire ai visitatori stranieri delle Olimpiadi invernali di Pechino del 2022 di utilizzarla.

A guardare più da vicino l’operazione yuan, non si può non scorgere l’ennesima mazzata su Bitcoin. Una valuta virtuale di Stato può mettere fuori gioco qualunque altro strumento di pagamento che non sia di carta o metallo. E non è un caso che il cerchio intorno a Bitcoin cominci a stringersi. Proprio ieri, come riportato da Reuters, una serie di account relativi alle criptovalute nella piattaforma cinese Weibo simile a Twitter sono stati bloccati.

Il tutto mentre si avvicina la messa fuori legge dell’intera attività di mining, ovvero l’estrazione della criptomoneta per poi immetterla nel mercato. Un’operazione che necessità di server dannosi per l’ambiente, dato l’elevato fabbisogno di energia per funzionare, al punto da aver spinto lo stesso Elon Musk, patron di Tesla, a una repentina retromarcia, dopo aver investito nelle criptomonete e aver aperto al loro uso per l’acquisto di veicoli elettrici.

“La Cina sarebbe pronta a reprimere il mining e lo scambio di bitcoin e si assicurerà che i rischi individuali non siano trasferiti all’intera società”. Sono queste le parole, contenute in una nota del Comitato per la stabilità e lo sviluppo finanziario del Consiglio di Stato, con cui il governo cinese si schiera formalmente contro Bitcoin. Tradotto, Bitcoin e processo di estrazione a monte illegale. Secondo quanto anticipato dal South China Morning Post, sarebbero tre le motivazioni che hanno portato Pechino a schierarsi così duramente contro Bitcoin: innanzitutto c’è il rischio legato alla stabilità finanziaria, ma anche il ruolo sempre più importante che i Bitcoin stanno interpretando nell’ambito del riciclaggio di denaro e nel traffico di droga. La terza motivazione riguarda, parole di esponenti di primo piano del governo cinese, l’uso dissoluto di energia elettrica per la creazione di bitcoin e il mantenimento dell’infrastruttura della cripto-valuta.

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