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Per la politica industriale è necessario un “focus”

L’Unione Europea aveva fino a ieri l’unico focus nella concorrenza e nel mercato unico. Il Next Generation EU segna l’adozione di una precisa politica industriale. Green e Digitale ne sono l’espressione principale per l’effetto che essi possono avere su innovazione e competitività. L’intervento Green non si risolve cioè nell’incentivo del 110% per chi la realizza nella propria abitazione un intervento di efficienza energetica, ma va utilizzato negli interventi a favore del sistema produttivo come driver di competitività. Green e digitale sono il focus della politica industriale adottato dalla UE. Il piano Transizione 4.0, previsto dal PNRR, è in linea con questo indirizzo attraverso lo strumento del credito d’imposta e uno stanziamento di 19 miliardi, cui si aggiungono 6,7 miliardi della legge di bilancio 2021.

Non così le politiche di sostegno alle filiere produttive previste dal PNRR (macchine utensili, automotive, costruzioni, meccanica di precisione, alimentare e made in Italy), che sono di grande importanza, ma non sono declinate per settore e non il contributo che strumenti come la digitalizzazione, del sistema produttivo, la transizione ecologica possono apportare alla crescita della produttività.

Anche le consistenti risorse (10,5 miliardi +1,31 di React EU e 1,01 della legge di bilancio) per “innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria” non hanno, per il momento, il focus necessario perché non è chiaro come la riforma dell’assistenza di prossimità si leghi alle nuove tecnologie e i fascicoli sanitari per la medicina a distanza e quale sia il progetto per l’ammodernamento degli ospedali da realizzare.

Trasformazione digitale ed ecologica vs competitività

L’approccio adottato nel PNR finisce per rendere episodici e non finalizzati, sia i temi affrontati che l’indicazione delle risorse dedicate ai diversi strumenti. La trasformazione digitale ed ecologica è la chiave di lettura dell’evoluzione competitiva dell’economia.

Basta pensare ai cambiamenti attesi con le fabbriche automatiche, il controllo a distanza dei trasporti, le città intelligenti, la medicina a distanza. È sulle politiche adatte a sostenere questi cambiamenti (non bonus, ma incentivi) che bisogna concentrare l’azione. È impressionante il divario tra le giovani imprese innovative negli Usa ed in Europa e, ancor più, in Italia. Nel nostro Paese esiste una rete di incubatori la cui efficacia complessiva andrebbe valutata per eventuali interventi correttivi. Lo stesso vale per le società di Venture Capital.

Ma quello che più conta è assicurare la disponibilità del sistema bancario a partecipare alla crescita delle start up. In quest’ottica, è importante sia il trasferimento tecnologico sul modello Fraunhofer, che la cooperazione tecnologica tra Istituti di ricerca e PMI, nonché, infine, il sostegno ad accordi tra imprese della medesima filiera per gli investimenti in ricerca e internazionalizzazione. Da questo punto di vista è incoraggiante la rete appena costruita tra Fbk, Cefriel, Links, Incubatore Deti denominata InnovAction che mette insieme proprio sullo stile dell’infrastruttura tedesca la capacità di sedimentare nel territorio innovazione e competenze e trasferirle a lavoratori.

Vanno poi considerati gli effetti del raccorciamento delle catene del valore che sta avvenendo anche a ragione dell’aumento di rischi e incertezze legati alla pandemia ma che, in ogni caso, stanno producendo cambiamenti significativi delle nostre filiere produttive rivolte all’export. Un’atra azione da adottare è quella rivolta a stimolare le aziende (soprattutto di piccole dimensioni) verso profili strategici e operativi capaci di generare performance strutturalmente più elevate e una risposta attiva alla crisi indotta da Covid-19.

I dati Istat consentono oggi di individuare i driver che, nei diversi segmenti del sistema produttivo, risultano associati a transizioni delle imprese verso profili più orientati allo sviluppo, usando parametri come il valore aggiunto per addetto e la percentuale di fatturato estero. Va poi considerata la progressiva espulsione dal perimetro manifatturiero di moltissime attività di servizio, la cui crescita va adeguatamente incentivata. Infine è importante un corretto rapporto pubblico/privato come mostra l’esperienza di successo della BEI in materia di investimenti.

La trasformazione del mercato del lavoro

In questo quadro, il mercato del lavoro è destinato a subire le trasformazioni più devastanti e non solo per effetto dell’automazione. Sappiamo che l’invecchiamento della popolazione, associata al cambiamento tecnologico, sta portando conseguenze importanti in termini di domanda e offerta di lavoro. È diminuita l’occupazione nel manifatturiero ed è aumentata la domanda di skill più qualificati, con conseguenze dirompenti su ineguaglianze e welfare.

Assistiamo, allo stesso tempo, al mancato aumento della produttività a dispetto dei grandi progressi della tecnologia e dell’aumento degli investimenti in intangible, quali software e intelligenza artificiale. In questo contesto dovremo usare nuovi strumenti di sostegno per l’occupazione e per la formazione e riqualificare il capitale umano per affrontare il profondo cambiamento del mercato del lavoro già in essere. Il rapporto tra scuola e formazione ha un ruolo decisivo come mostra l’esperienza degli ITS che assicurano l’occupazione di quasi tutti i frequentatori, oggi circa 9000 all’anno, numero che potrebbe essere allargato fino a raggiungere i 100.000 per anno.

La dinamica demografica ha poi un ruolo decisivo sia rispetto alle politiche migratorie, che riguardo la capacità degli Stati di provvedere al sostegno sociale di una popolazione che invecchia.

Non c’è dubbio che servano, come rappresentato nel PNRR, politiche attive del lavoro di long life learning, di reskilling e upskilling. Ma non emerge un progetto che dia conto del come impiegare i 12,6 miliardi previsti, di cui circa 6 di React EU. Il Fondo nuove competenze ed è legato alla formazione di lavoratori occupati e può essere un’iniziativa interessante. Ma non è per nulla chiaro il rapporto tra salvaguardia dell’occupazione, a forte rischio, visto che a marzo prossimo scade il blocco dei licenziamenti e attività di formazione. L’azione prevista dal PNRR comporta, in ogni caso, un impegno di 24,6 miliardi a carico del Bilancio e 1,65 a carico dei progetti PON, di cui non è chiara la destinazione, perché l’unica indicazione è che sono previsti incentivi alle assunzioni sotto forma di decontribuzioni per i datori di lavoro.

L’aumento del ruolo dello Stato nell’economia

La pandemia sta portando a un aumento del ruolo dello Stato nell’economia che, seppure non è da esorcizzare, deve essere coniugato con concorrenza e mercato. Un caso emblematico è quello dell’ILVA, dove si potrà verificare se il ritorno della Stato si accompagnerà ad una strategia vincente in termini di sviluppo, occupazione e sostenibilità.

Non è lo Stato imprenditore che, in ogni caso, può risolvere i problemi della crisi economica che stiamo attraversando. La Commissione europea, consapevole, peraltro, del rischio di un aumento permanente del capitale pubblico nelle imprese, ha fissato con il Temporary Framework regole precise, che disincentivano i capitali pubblici dal rimanere troppo a lungo nelle imprese.

Non è l’intervento a salvaguardia della zombie economy che ci può salvare. Nei prossimi anni vivremo l’esperienza Schumpeteriana della distruzione creatrice, vedremo crescere i non performing loan, ma non per questo dovremo farci trascinare verso la scelta di un sostegno indiscriminato a chi è in crisi, ma dovremo selezionare le imprese in crisi temporanea e capaci di riprendersi dalle altre che non ce la faranno. E dovremo perciò predisporre gli strumenti necessari a sostenere i perdenti della pandemia. Per farlo converrà proteggere i lavoratori, piuttosto che i posti di lavoro. E sarà necessario ripensare ammortizzatori sociali e politiche di welfare.

Made in Italy

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