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Schiacciata fra Vladimir Putin e Donald Trump, l’Alleanza atlantica si scopre più europea che americana e chiede agli europei di assumere un ruolo coerente con la principale sfida che affronta: la difesa dell’Europa. Solo due alleati, il Regno Unito e la Francia sono potenze militari di medio calibro, oltre che potenze nucleari. La difesa dell’Europa chiama pertanto in causa gli altri membri europei della Nato.

In primo luogo, la Germania per il semplice motivo che è un gigante economico e industriale ma un nano militare, in termini relativi naturalmente, cioè rapportandone le attuali capacità militari a Pil, popolazione, collocazione geostrategica, potenziale industriale e tecnologico. Non basta più. In parte per retaggio storico della Seconda guerra mondiale, in parte per convenienza dei “dividendi della pace” dopo la caduta del Muro di Berlino, la Germania, specie dopo la riunificazione, aveva appaltato la sicurezza a una Nato targata Usa.

In fondo questo rispondeva al vecchio adagio che identificava lo scopo dell’Alleanza nel tenere the Americans in [Europe], the Russians out, the Germans down rispecchiando perfettamente la meteorologia euro-atlantica dopoguerra-Guerra fredda. Il triplo paradigma venne largamente meno nel post Guerra fredda.

Con la Russia si aprì addirittura la porta del Founding act del 1997 e dell’accordo di Pratica di mare del 2002, ma: gli americani rimasero in Europa come base delle varie missioni, Balcani, Afghanistan, Libia, che non rientravano nella “sicurezza collettiva” imperniata sull’Articolo 5 del Trattato di Washington, invocato ma non applicato dopo l’11 settembre; i tedeschi riuniti scelsero di mantenere un profilo militare basso, anzi lo abbassarono rispetto alla Germania Ovest che era fronte centrale della contrapposizione fra Nato e Patto di Varsavia.

Non senza insoddisfazione americana nei confronti degli alleati europei e del Canada per la ripetuta promessa da marinaio di spendere per la Difesa il 2% del Pil, ma con una sorta di reciproca accettazione delle regole del gioco. Ma quando il gioco cambia, cambiano anche le regole. Il gioco è cambiato su tre versanti: America, Russia ed Europa. Sul primo, l’onere di difendere l’Europa non può più gravare sproporzionatamente sulle spalle americane. Gli Usa hanno anche altro cui pensare.

In mandarino. L’amministrazione Trump porrà la questione con urgenza e in termini transattivi (“vi difendo se pagate”) alzando l’asticella, come minimo, al 3% del Pil, ma il nodo sarebbe comunque venuto al pettine. Non prendiamocela troppo con Donald. Sulla Russia di Vladimir Putin parlano i fatti: aggressione all’Ucraina, obiettivo di ristabilire una zona d’influenza esclusiva fino al perimetro dell’ex Urss, creazione di un’economia di guerra, ingente arsenale di armi nucleari tattiche, alleanza con Corea del Nord e Iran.

L’Europa si trova così alle prese con un revisionismo geopolitico russo che ne minaccia la sicurezza nel momento in cui gli Stati Uniti, per bene che vada, tengono un piede dentro l’Atlantico, l’altro fuori, nel Pacifico. Dato che la sicurezza euro-atlantica resta la missione della Nato, senza sostituti credibili in vista, la combinazione di aggressività russa e parziale disimpegno americano esige un’Alleanza atlantica più europea per necessità e meno americana per bilanciamento di teatri e di capacità.

L’onere di una Nato più europea ricade naturalmente su tutti gli alleati europei – pronto, Palazzo Chigi? – ma è indispensabile una sostanziosa quota tedesca di assunzione di responsabilità, adeguatezza di capacità militari e sviluppo dell’industria difesa. Quando i tedeschi andranno alle urne, il 23 febbraio, la Nato sarà probabilmente l’ultimo dei loro pensieri. O uno degli ultimi, ben dietro economia, crisi dell’industria automobilistica, dazi Usa in arrivo da Trump 2.0 e, soprattutto, immigrazione e rifugiati ormai diventati tema dominante del dibattito politico in occidente, e più spesso che non carta vincente elettorale.

Il tragico attentato di Magdeburgo, due mesi precisi prima del voto, oltre che a ridosso del Natale, opera di un immigrato ancorché non rifugiato, non farà che ravvivarlo pesando così largamente sulle scelte degli elettori. Tutto da vedere se a favore di Alternative für Deutschland che fa dell’opposizione all’immigrazione il cavallo di battaglia o penalizzandone l’estremismo in quanto l’autore della strage, il medico di origine saudita Taleb Jawad Hussein Al Abdulmohsen è, fra le altre cose, un simpatizzante di AfD.

L’attentato lacera così le coscienze dell’AfD e della destra anti-immigrazione che, al di là dell’orrore per la violenza, non sapranno se vedere in lui un altro terrorista arabo immigrato, che la Germania aveva accolto con un regolare permesso di soggiorno, o un “compagno che ha sbagliato” tragicamente ma pur sempre con un movente anti-Islam, quindi da condannare per l’atto ma non per le idee che professa.

Pensiamo al precedente norvegese della strage di Utoya perpetrata da Anders Breivik. Dubbio amletico che può influire notevolmente sulle sorti elettorali di AfD, al secondo posto nei sondaggi dietro la Cdu/Csu di Friedrich Merz al momento dell’attentato, accreditata di un bel 19%. Nel dibattito elettorale tedesco sicurezza e Difesa si affacciano prevalentemente nel prisma ucraino: di come, quanto e se continuare a sostenere Kiev, della possibile fine delle ostilità e di eventuali garanzie internazionali.

Tuttavia, il governo che uscirà dalle urne del 23 febbraio, o piuttosto dai solitamente lunghi negoziati per la futura coalizione quale che sia – Cdu/CsuSpd? Cdu-Csu-Verdi? Tutti e tre? – è atteso a un critico appuntamento con la Nato. Dovrà decidere che contributo dare e che ruolo assumere. Berlino è al centro della difesa dell’Europa. In passato, pensiamo alla Guerra fredda, è stata la Germania ad avere bisogno dell’Alleanza atlantica. Oggi, è anche l’Alleanza ad avere bisogno della Germania.

Formiche 209

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Nel dibattito elettorale tedesco sicurezza e Difesa si affacciano prevalentemente nel prisma ucraino. Tuttavia, il governo che uscirà dalle urne, o piuttosto dai lunghi negoziati per la futura coalizione, avrà un critico appuntamento con la Nato. Dovrà decidere che contributo dare e che ruolo assumere. Berlino è al centro della difesa dell’Europa. L’analisi di Stefano Stefanini, senior advisor dell’Ispi e già rappresentante permanente d’Italia alla Nato

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