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Il mese scorso Kurt Campbell – ai tempi solo un noto esperto di Asia con esperienza in vari think tank e nell’amministrazione Obama – ha messo nero su bianco la sua idea per l’Indo-Pacifico in un articolo uscito su Foreign Affairs (la più importante rivista del mondo sull’analisi della politica internazionale, a cui l’attuale presidente Joe Biden ai tempi della campagna elettorale aveva già affidato una sua visione quadro sulla politica estera, da cui si evinceva l’attenzione alla Cina).

Quell’articolo è uscito il 12 gennaio,  il giorno prima della nomina ufficiale di Campbell al Consiglio di Sicurezza nazionale come capo proprio del dossier Indo-Pacifico – il quadrante enorme da cui gli Stati Uniti intendono iniziare il contenimento della Cina assieme agli alleati regionali e non. Se non fosse stato una sorta di manifesto quell’articolo sarebbe stato fermato, e invece no, è uscito e riportava una visione chiara e lineare.

Nel pezzo c’è scritto che la regione indo-pacifica deve affrontare due sfide “specifiche”: l’ascesa dell’economia e delle forze armate cinesi, nonché una ritirata degli Stati Uniti. “Se la prossima amministrazione degli Stati Uniti vuole preservare il sistema operativo regionale che ha generato pace e prosperità senza precedenti, deve iniziare affrontando a turno ciascuna di queste tendenze”, scriveva Campbell mandando un messaggio netto su cosa pensa e su qual è il motivo per cui Biden l’ha chiamato a coordinare i lavori per quell’areale.

In questa settimana la US Navy ha compiuto la prima missione Fonop nel Mar Cinese; Fonop è l’ormai noto acronimo usato per i passaggi tra gli isolotti che la Cina ha militarizzato rivendicandone la sovranità – di terra e rotte. La missione è stata affidata al cacciatorpediniere “USS John McCain” che appartiene al gruppo da battaglia della portaerei “USS Nimitz“. Successivamente la Nimitz e la “USS Theodore Roosevelt” (col suo gruppo da battaglia) si sono esercitate sempre nel Mar Cinese.

Più di dieci navi, tonnellate di diplomazia e missili che Washington ha schierato nel bacino casalingo di Pechino negli stessi giorni in cui Biden ha avuto il primo contatto telefonico con il segretario del Partito comunista cinese, il capo dello stato Xi Jinping. A poche ore dalla telefonata, il Pentagono ha diffuso le prime informazioni della Task Force China, la struttura con cui intende fronteggiare la sfida strategica posta a livello globale dalla Repubblica popolare – Task Force che coordina le policy per i Fonop e per le esercitazioni nell’Indo-Pacifica.

Qualche giorno prima una fonte non specificata ha fatto sapere al Japan Times che è in corso la preparazione del primo meeting solenne tra i leader del Quad, il sistema di alleanza informale che comprende India, Giappone, Usa e Australia a cui Washington intende dare peso istituzionale per implementarlo come base di un’alleanza strutturale di contenimento alla Cina.

In questi stessi giorni inoltre la Francia ha – seguendo l’esempio inglese – inviato un’unità da combattimento nel Mar Cinese: il sottomarino “SNA Emeraude“, in un’operazione a cui la ministra della Difesa ha (giustamente) dato rilevanza. Missione che dimostra la capacità di proiezione di forza francese, spiega il Ministère des Armées, e di integrarsi con “i partner strategici australiani, americani e giapponesi”. Non è la prima volta che succede, già nell’aprile del 2014 era stata inviata una fregata francese nello Stretto di Taiwan (e la Cina si era innervosita non poco), ma è una sottolineature su come Parigi voglia intestarsi il ruolo di capofila nella relazioni con Washington.

In un momento in cui la Germania si sbilancia verso la Russia e non accetta le pressioni statunitensi sul Nord Stream 2 e si fa guidare dal business sulla Cina, la Francia percepisce la centralità dell’Indo-Pacifico e si muove di conseguenza. Per soddisfare l’alleato americano; per segnare paletti sul tema Cina, su cui è in diatriba con Berlino dopo la firma del CAI con Pechino, intesa per cui si richiedeva la consultazione con Washington. Parigi inoltre vuol recuperare terreno su Londra, che extra-Ue resta l’alleato europeo di riferimento per Washington – ed è infatti già orientato verso Est, come pivot asiatico richiede.

Dopo l’ottobre rosso, questo si manifesta come un altro mese interessante per il quadrante. La mossa francese è infatti di valore perché sebbene il presidente Emmanuel Macron ripeta che non sia conveniente per nessuno dividere il mondo in blocchi con un’altra guerra fredda (stavolta con la Cina) – incontrando in questo caso una linea simile a quella di Angela Merkel – per necessità di America si deve muovere. Consapevole per di più che con la consolidazione del Quad, e con il Canada da tempo parte della attività nella regione, il rischio è che l’Indo-Pacifico e i suoi affari diventino questione esclusiva dell’anglosfera.

La Francia nel Pacifico ha interessi da difendere, come visto nel caso col referendum nella Nuova Caledonia mesi fa, e ha soprattutto voglia di sfruttare il dossier per ritorno europeo, ossia per farsi da hub dei rapporti transatlantici prima che il cuore delle relazioni americana si sposti verso oriente, che il Giappone entri nel Five Eyes e che per Washington l’India diventi il partner con cui condividere lo scontro con la Cina.

Si veda per esempio la proposta che Macron ha fatto a Biden per trovare un accordo e risolvere il lungo conflitto commerciale tra Boeing e Airbus – una bella mano tesa, in un momento in cui la pandemia ha colpito pesantemente il settore aereo. Per giocare le sue carte Parigi proverà anche la sponda di Anthony Blinken, segretario perfettamente allineato col presidente, perfettamente fluente in francese dove s’è formato alla École Jeannine Manuel.

(Foto: Twitter,  Florence Parly)

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