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I campionati mondiali di sci a Cortina – oltre a sbatterci in faccia il paradosso di nevicate più che copiose proprio nell’anno della chiusura degli impianti, causa Covid – possono riproporre al Paese (e al Governo entrante) uno dei temi cruciali per lo sviluppo “resiliente” e “sostenibile”: il ruolo della montagna nel sistema sociale ed economico italiano.

Qualche anno fa il Censis ci ha offerto un’analisi dell’economia della montagna. Nelle aree montane si producono 235 miliardi di euro di valore aggiunto, il 16,3% della ricchezza nazionale. E la qualità dell’ambiente in queste aree resta altissima, visto che si consuma solo il 2,7% di suolo contro il 9,7% dei comuni non montani. In Italia il territorio di montagna rappresenta complessivamente il 54,3% della superficie nazionale, dove vivono circa 11 milioni di abitanti, il 17,9% della popolazione.

Basterebbe vedere l’orografia ed è facile capire che il modello di sviluppo economico italiano non può essere assimilato a quello di alcuni grandi Paesi europei: le pianure della Germania e della Francia non ci sono in Italia. L’Italia è un “Paese in salita”, che ha spesso trascurato l’osso – secondo una terminologia cara a Giuseppe De Rita – cioè la montagna, per occuparsi solo della polpa, cioè dei litorali.

Con l’aggravante recente che interpreta le politiche paesaggistiche esclusivamente in una prospettiva statica e vincolistica così come quella che, all’opposto, affronta il tema della trasformazione in modo rozzo e miope, troppo spesso orientato a soddisfare i soli aspetti funzionali e di ritorno economico a breve termine, anziché la qualità e il lungo termine. I territori di montagna interessati dal turismo sono stati spesso trasformati in modo inappropriato ed ora si trovano di fronte a condizioni di vero degrado, con i paesaggi rurali tradizionali erosi dall’urbanizzazione e penalizzati da interventi edilizi e infrastrutturali spesso poco curati e male inseriti nel contesto.

Ecco, montagna e turismo costituiscono un binomio che potrebbe fare bene al futuro e alla ripresa resiliente del Paese. Speriamo che il Recovery Plan che sarà prodotto dal nuovo Governo, veda le risorse destinate al turismo crescere oltre la soglia di quei modesti 8 miliardi (sui 209 disponibili) di cui si parla nella bozza del Governo Conte bis. Briciole per quella che sarebbe la prima “industry” del Paese per fatturato e occupazione. Nel 2019 il turismo in Italia ha fatto registrare 131,4 milioni di arrivi, 436,7 milioni di presenze e una crescita del 2,6% sull’anno precedente, arrivando a occupare circa 4,2 milioni di persone. Un segmento dell’economia nazionale che pesava per circa il 13% del Prodotto interno lordo, secondo i dati Enit.

C’è una cecità che continua e che rende le nostre località turistiche – prima ancora della ferita del Covid-19 – destinate a vivere a mezzo servizio, con stagionalità risibili rispetto alle loro potenzialità. Questo vale per il mare (la Sicilia non ha nulla da invidiare, e non solo climaticamente, alla Florida, ma in Florida c’è turismo tutto l’anno, in Sicilia solo nei mesi estivi e poco più) così come per la montagna. Anzi, forse per la montagna è anche peggio.

C’è un problema di infrastrutture che resta irrisolto. Quando si tornerà a viaggiare – e di certo si tornerà a viaggiare – continuerà a essere più facile andare in Andalusia che in Calabria. Così come in montagna sarà più facile raggiungere Zermatt che Cervinia, Sankt Moritz piuttosto che Cortina.

Infrastrutture di trasporto vecchie di cent’anni, che solo nelle province e regioni autonome (Trentino, Alto Adige, Valle d’Aosta) riescono a migliorare, grazie a un malinteso federalismo che crea differenziali di risorse incolmabili. E poi c’è un problema di cultura del servizio (e dell’impresa) che a stento si afferma con criteri di competitività. Tolta l’offerta di lusso, ormai il turista (prima della sua scomparsa per causa del Covid-19) è abituato a pretendere molto pagando il giusto, che spesso diventa poco.

La sfida per i territori di montagna è riuscire a coniugare efficienza, dinamismo economico e sostenibilità, ponendo attenzione alla loro fragilità e bellezza e ai loro valori culturali e naturalistici. Le aree di montagna marginali presentano dei paesaggi tradizionali che oggi sono elementi di forte attrattiva sul mercato turistico e possono rappresentare una grande risorsa, se adeguatamente valorizzati mediante l’integrazione tra attività turistiche, agricoltura e produzioni alimentari di qualità ed adeguate connessioni – materiali e immateriali – ai territori esterni. E quindi necessaria l’elaborazione di nuovi modelli di gestione territoriale e di sviluppo economico, in grado di esaltare le connessioni e l’integrazione tra i territori, attivando processi simbiotici mutualistici che connettano l’urbano con il rurale e i luoghi del dinamismo economico con quelli più appartati o marginali.

Da Cortina 2021 a Cortina 2026: dai mondiali di sci di questi giorni alle Olimpiadi invernali fra cinque anni. L’occasione per programmare, anche se il verbo è urticante per molti italiani. Le schede redatte dalla commissione presieduta da Vittorio Colao – in qualche cassetto giacciono i contributi richiesti dal Governo al gruppo di lavoro coordinato dall’ex top manager di Vodafone – suggerivano di “creare un presidio governativo speciale focalizzato sul recupero e rilancio del settore nel prossimo triennio con l’obiettivo di assicurare coordinamento governativo orizzontale e territoriale verticale nel periodo di rilancio”.

E di “migliorare l’accessibilità del turismo italiano, investendo nei collegamenti infrastrutturali chiave relative alle aree/poli turistici ad alto potenziale e ad oggi mancanti, potenziando le dorsali dell’Alta Velocità, alcuni aeroporti turistici minori e la logistica intermodale per le città d’arte”.

Nella prima edizione degli Stati Generali Mondo Lavoro della Montagna, pochi giorni fa, Vincenzo Novari, ceo della Fondazione Milano Cortina 2026 | XXV Winter Olympic Games, ha ricordato il potenziale che si produrrà in quella occasione: per i giovani si lavorerà seminando cultura dello sport; il futuro definirà la legacy e il lascito perpetuo destinato ai territori, che saranno protagonisti dell’organizzazione con le rispettive competenze e le esperienze locali: ”Sarà uno tsunami per l’occupazione con tanti posti di lavoro da attivare, oltre la crescita dello staff e i 30.000 volontari previsti”.

Speriamo che sia uno tsunami anche per il modello di sviluppo della montagna italiana. ”Ospitare grandi eventi crea valore”. E la montagna italiana potrà confermarsi sede ideale per qualsiasi tipo di evento internazionale. E soprattutto potrà essere riscoperta come volano della ripresa dell’economia del Paese.

La montagna non partorisca il topolino. Mastrapasqua su turismo e Recovery Plan

Di Antonio Mastrapasqua

Montagna e turismo potrebbero far bene al futuro e alla ripresa resiliente del Paese. Una cecità rende le nostre località turistiche – prima ancora del Covid-19 – destinate a vivere a mezzo servizio, con stagionalità risibili rispetto alle loro potenzialità. L’analisi di Antonio Mastrapasqua, manager d’azienda ed ex presidente Inps

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