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Fare presto e possibilmente bene. Dopo settimane di silenzio sembra essersi nuovamente accesa la luce sulla partita per la creazione di un’infrasttruttura unica per la banda ultra-veloce. Merito di due ministri che hanno tolto dalla naftalina un dossier di cui si parla, a fasi alterne, da oltre due anni. Ovvero Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico e Vittorio Colao, titolare dell’Innovazione. Due voci per dire un po’ la stessa cosa: basta cincischiare, la rete unica serve e va fatta adesso. Anche perché, meglio ricordarsene, il Recovery Fund prevede, per l’Italia, un’ottantina di miliardi per la digitalizzazione. E non fare la rete vuol dire ipotecare l’intero sforzo europeo. Troppo da rischiare.

LA SPINTA SULLA RETE DI COLAO E GIORGETTI 

Giorgetti venerdì mattina è stato chiaro, rispondendo a una domanda al termine dell’incontro con il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire.  “Il progetto sulla rete unica, che ha avuto dei ritardi, deve andare in porto rapidamente ed offrire risposte efficienti. In questo modo il piano sarebbe sicuramente accettabile invece se è qualcosa che ostacola o impedisce il raggiungimento del nostro obiettivo allora diventa un problema.” Messaggio di sottofondo: “Il governo italiano non è contrario al progetto di rete unica ma è contrario ai ritardi.”

Che il mantra nel governo sulla rete unica sia fare presto è confermato anche da quanto affermato da Colao in audizione alla Camera. “Oggi la copertura in fibra raggiunge poco meno del 34% delle famiglie italiane. Il problema non riguarda solo l’infrastrutturazione ma anche il tasso di accesso ai servizi dati di accesso ad internet. Nel 2020 risultano esserci 10 milioni di famiglie, il 39% del attuale che non hanno attivato offerte di accesso ad internet su rete fissa, ed oltre 5,5 milioni di famiglie, un altro 21% del totale, che usufruiscono di accesso ad internet ma con velocità inferiore ai 30 megabit al secondo. Quindi in totale ci sono circa 16 milioni di famiglie, il 60% del totale, che o non usufruiscono di servizi di connessione internet su rete fissa o non hanno una connessione a banda ultralarga.”

IL REBUS DEL CONTROLLO

Ora, il problema rimane sempre lo stesso, l’assetto della società unica. Il canovaccio è sempre quello. La rete secondaria di Tim, quella che dall’armadietto sulla strada sale in casa e insieme a quella primaria nella società Fibercop, messa a sistema con quella di Open Fiber, ovvero lo Stato (50% Cdp e 50% Enel, con l’incognita però della vendita della quota del gruppo elettrico al fondo australiano Macquarie, che in caso di sblocco dell’operazione sarebbe della partita per la rete). Il tutto per dare vita ad AccessCo, la società unica della rete. Il piano del governo Conte immaginava una rete unica sotto il controllo proprietario di Tim, con una robusta presenza di Cassa Depositi e Prestiti.

Ma ora il vento sembra cambiato: Colao si è limitato a candidare Cdp a un ruolo decisivo nella cablatura del Paese, mentre Giorgetti, in audizione anche lui, sembra aver ha bocciato l’ipotesi di attribuire a Tim il 51% della nuova rete unitaria e ultraveloce: “la rete unica se ha un controllo pubblico ha un senso”, diversamente ” non è che ricreiamo un monopolio privato sulla rete, tanto meno a controllo straniero (la francese Vivendi è l’azionista di riferimento, con il 23,75%, ndr).” Peccato che la rete sia la garanzia del debito di Tim e che quindi sia difficile per l’ex monopolista cederne il controllo.

RETE UNICA A TUTTI I COSTI

Formiche.net ha chiesto un commento a Raffaella Paita, presidente della Commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera, in quota Italia Viva. “Il ministro Giorgetti ha ragione così come ce l’ha il ministro Colao. Ho molto apprezzato questa spinta e stimolo al progetto”, premette Paita. “La rete unica è essenziale, parliamoci chiaro. Ma siccome noi dobbiamo continuare e ultimare un lavoro di infrastrutturazione essenziale, anche perché buona parte del Recovery Plan va in quella direzione, continuare a parlare di un soggetto giuridico che non parte mai non serve a molto. Bisogna spendere le risorse europee e innovare il Paese, questo è l’imperativo. E da Giorgetti e Colao è arrivato un messaggio in questa direzione.”

La deputata non si sottrae nemmeno a un commento sulla questione forse più spinosa, la governance della società della rete. E qui Italia Viva si mette in scia a Giorgetti. “Certamente sono d’accordo per una governance pubblica, anche se non può non essere considerato che il modello finora utilizzato per cablare le aree bianche (spettanti a Open Fiber, ndr) ha funzionato poco. Evidentemente bisogna cambiare marcia. Voglio dire, la governance pubblica sarebbe preferibile, ma qualsiasi decisione societaria venga presa deve portare a un unico risultato, digitalizzare il Paese. Il risultato è quello che conta. Sappiamo tutti quanto questo Paese sia indietro. E non è un caso che l’Europa ci chieda di accelerare. La rete unica va fatta subito e bene, al netto delle decisioni societarie.”

Rete unica, il piano del nuovo governo e il rebus del controllo

Prima con Giorgetti e poi con Colao, dal governo Draghi arriva un’improvvisa folata di vento sul progetto mai veramente partito. Ma c’è il solito nodo della governance. Il presidente della Commissione Trasporti Paita a Formiche.net: meglio una rete pubblica, però basta perdere tempo. C’è di mezzo anche il Recovery Plan

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