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Finora le crisi di governo sono state caratterizzate dai seguenti scenari. I partiti raggiungono determinati accordi e, supportati da una maggioranza parlamentare, presentano al Capo dello Stato le loro proposte, che sostanzialmente vengono da questi ratificate. Qualora i partiti e i rispettivi gruppi parlamentari non riescano ad esprimere una nuova maggioranza, il Capo dello Stato, accertata la impraticabilità di soluzioni governative, scioglie le Camere.

Ma ora si è presentata una situazione nuova e più complessa rispetto a precedenti analoghi, meno marcati. Assenza di una maggioranza e impossibilità di fatto di convocare i comizi elettorali. Il Presidente Sergio Mattarella lo ha spiegato con dettagliata insistenza adducendo esempi concreti su quali guasti può provocare l’impatto delle urne sulla pandemia. Il Portogallo, ad esempio, ha registrato una impressionante escalation di infezioni che la comunità scientifica ha collegato direttamente alla mobilitazione provocata dalla consultazione popolare del 24 gennaio scorso. Sono sopraggiunte poi variabili del virus che “possono portare a un rapido incremento dell’incidenza”, e persiste una curva epidemica che non accenna a diminuire. Occorre dunque seguire una linea di avveduta prudenza. Ma, nel contempo, permane, nonostante il governo dimissionario, l’urgenza di decisioni tempestive: provvedimenti corposi in campo sanitario ed economico. Come uscirne, visto che la situazione “richiede un governo nella pienezza delle sue funzioni per adottare i provvedimenti via via necessari e non un governo con attività ridotta al minimo, come è inevitabile in campagna elettorale”?

Il sistema, che non può restare bloccato, deve ricorrere alle risorse residue di cui dispone. E questa volta, a parti rovesciate, è il Presidente che individua e chiama una personalità da lui giudicata la più adeguata a formare il governo. Ed è sempre il Presidente ad indicarne anche l’agenda operativa: “Sviluppo decisivo della campagna di vaccinazione”; scadenza blocco licenziamenti che “richiede decisioni e provvedimenti di tutela sociale adeguati e tempestivi”;  presentazione “alla Commissione europea del piano per l’utilizzo dei grandi fondi europei”. Il tutto, in sintesi per “fronteggiare – conclude il Presidente Mattarella – le gravi emergenze presenti: sanitaria, sociale, economica, finanziaria”.

Ma il rispetto delle scadenze obbligatoriamente cadenzate e il tempestivo utilizzo delle risorse non sono compatibili con un governo “ad attività ridotta”, quale sarebbe quello a Camere sciolte. Di qui l’appello a “tutte le forze politiche presenti in Parlamento” perché conferiscano la “fiducia a un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica”.  Quindi l’investitura di Mario Draghi che si è accinto al suo compito con pazienza e disponibilità, ascoltando tutti con umiltà. Anche se è dovuto intervenire un attore, Alessandro Gassmann, per osservare su certi interlocutori: “E loro vogliono valutare le proposte… come se io suggerissi le inquadrature a Stanley Kubrick“.

Qualcuno ha rilevato che abbiamo l’architetto, ma non conosciamo il suo progetto. Evidentemente non si è prestata attenzione alle parole del Capo dello Stato che non ha svolto, questa volta, esortazioni, ma ha fissato quale debba essere la operatività dell’“architetto”. Altri hanno invocato una maggioranza “politica”: che vuol dire? Maggioranza delimitata? Ma saremmo contro l’indicazione del Presidente. Idem per altri, come il prof. Conte, che ha sollecitato un governo “politico” perché “le urgenze del Paese richiedono scelte politiche e non possono essere affidate a squadre di tecnici” (espressione  singolare se si ricorda come era stata impostata la redazione del progetto next generation); per altri ancora la partecipazione è condizionata alla esclusione di determinate forze. Ma se il palazzo va a fuoco occorrerà prima spegnere l’incendio e non indugiare nel bisticcio con il condomino della porta accanto (significativa al riguardo l’adesione senza se e senza ma di Salvini).

In ogni caso tutto ciò non ha senso nella nuova, atipica e drammatica situazione che non va letta con gli occhiali consueti del passato portandosi dietro il proprio bagaglio programmatico e culturale. Per adesso tutto ciò va accantonato e i comportamenti dei partiti non possono riflettere pregresse categorie dialettiche. Per cui non dovrebbe stupire un governo con all in perché ciascuno non sarebbe portatore delle propria identità ma “costruttore” del programma indicato da Presidente della Repubblica. Come è improprio avanzare richieste fuori del recinto operativo da lui indicato, già di per sé molto assorbente come ha rilevato lo stesso Peter Gomez. Non è tempo di temi divisivi e se dovessero emergere in corso d’opera occorrerà, finché l’emergenza non sarà sanata, usare buon senso e affidarsi all’equilibrio di Draghi.

C’è chi, come Fratelli d’Italia, ha preannunciato voto contrario, o l’astensione. Ma quale rendita elettorale può assicurare una opposizione, peraltro temperata dal preannunciato voto a favore dei provvedimenti più significativi? Non siamo più alle “lacrime e sangue” del governo Monti (ce lo ha spiegato lui stesso) che potevano procurare consenso dalle fasce più colpite. Oggi è bastato solo il nome di Draghi per far scendere lo spread sotto quota cento, per far salire la borsa. Oggi siamo in attesa delle ingenti risorse europee. Oggi si preannuncia una vigorosa lotta all’epidemia. Tutti fattori che preludono ad un miglioramento delle condizioni del popolo che presumibilmente sarà tutt’altro che contrariato dalla attività di governo. Il riflesso condizionato di movenze all’interno del quadro politico abituale, la preclusione per questo o per quello, ripeto, nella situazione data, è camminare con la testa volta all’indietro. Col pericolo di andare  “a sbattere”. E con papa Francesco dobbiamo dire: “Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi”.

 

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