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Fosse stato seduto lì, tra quegli scranni, Alcide De Gasperi, forse, avrebbe applaudito. Perché a 66 anni dalla sua morte la lezione del grande statista trentino, artefice della ricostruzione italiana post-bellica, è ancora attuale. D’altronde di questo, di ricostruzione e rinascita, si parla in questi giorni. E di questo si è parlato questo pomeriggio, alla Camera, dove il premier Mario Draghi, a 48 ore dall’approvazione del Recovery Plan, ha illustrato il piano d’azione italiano nell’ambito del doppio passaggio parlamentare in vista dell’invio del pacchetto che vale 209 miliardi, a Bruxelles, prima del 30 aprile.

Un appuntamento storico, che l’Italia non può fallire. Non deve. Ma perché il gioco riesca serve lo sforzo di tutti i partiti e il dialogo costante tra le tante, diverse, anime del governo dell’ex presidente della Bce. “La buona riuscita del piano richiede un dialogo aperto e costruttivo tra tutti i livelli istituzionali, il Parlamento ha effettuato un lavoro di sintesi che si è affiancato alla intensa collaborazione tra ministeri e ha potuto beneficiare del lavoro già fatto dal governo Conte II”, ha spiegato Draghi.

In questa partita non c’è pareggio. O si vince o si perde. Nel Pnrr c’è “la misura di quello che sarà il ruolo dell’Italia nella comunità internazionale. La sua credibilità e reputazione come fondatore dell’Unione europea e protagonista del mondo occidentale: non è dunque solo una questione di reddito, lavoro, benessere, ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare”.

Di qui quello che ha tutta l’aria di essere un monito, severo, alle forze politiche. Gli errori di adesso li pagheranno i figli d’Italia. “Sia chiaro che, nel realizzare i progetti, ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto su quelle dei cittadini più deboli e sui nostri figli e nipoti. E forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio”.

Impossibile, a questo punto, non citare uno dei padri della ricostruzione italiana, prendendo in prestito uno scritto del 1943. “Vero è che il funzionamento della democrazia economica esige disinteresse, come quello della democrazia politica suppone la virtù del carattere. L’opera di rinnovamento fallirà, se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno degli uomini disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune”. E dunque, “a noi l’onere e l’onore di preparare nel modo migliore l’Italia di domani”.

Messa in chiaro la portata storica del Piano, tra un applauso e l’altro, il premier ha puntellato l’architettura finanziaria del Recovery Plan. “Nel complesso potremo disporre di circa 248 miliardi di euro. A tali risorse, si aggiungono poi quelle rese disponibili dal programma React-Eu (i fondi per la coesione, ndr) che, come previsto dalla normativa Ue, vengono spese negli anni 2021-2023. Si tratta di altri fondi per ulteriori 13 miliardi”.

Il Piano, poi “destina 82 miliardi al Mezzogiorno  su 206 miliardi ripartibili secondo il criterio del territorio, per una quota dunque del 40 per cento. C’è una forte attenzione all`inclusione di genere e al sostegno per i giovani e 70 alla transizione ecologica, per la creazione di una società a impatto zero”. Ma i numeri contano poco se a monte non c’è la necessaria consapevolezza.

“Sono certo che riusciremo ad attuare questo Piano. Sono certo che l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti. Questa certezza non è sconsiderato ottimismo, ma fiducia negli Italiani, nel mio popolo, nella nostra capacità di lavorare insieme quando l’emergenza ci chiama alla solidarietà, alla responsabilità”. Anche De Gasperi avrebbe applaudito.

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