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Mario Draghi è intervenuto energicamente al Consiglio europeo per reclamare tempi certi nella fornitura dei vaccini. Accusando, seppure implicitamente, i vertici dell’Unione, a cominciare dalla presidente Ursula von der Leyen, di sostanziale inadeguatezza nel trattare con le industrie farmaceutiche che fino ad oggi hanno fatto quel che volevano, trasgredendo in maniera palese gli accordi stipulati. Quasi tutti i Paesi europei scarseggiano di vaccini. Si promettono massicce forniture nel secondo e terzo trimestre dell’anno. Non è sufficiente. La gente muore. I morti si moltiplicano. L’allarme di Draghi è stato doveroso. La speranza che al suo si uniscano anche gli altri leader europei.

Non immaginavamo di “celebrare” in questo modo il primo anniversario della pandemia che ha sconvolgo le nostre esistenze. Pensavamo, quando si profilò in tutta la sua drammaticità l’evento che rischia di cambiare il volto del mondo, che l’attivismo di alcune case farmaceutiche avrebbe dato i risultati promessi dalle stesse. Non sappiamo perché alcune aree del Pianeta non soffrono della carenza del vitale antidoto ed altre no. Come mai negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Israele, in qualche Stato arabo la penuria non s’è fatta sentire, mentre in Europa mendichiamo vaccini mentre i contagi salgono e si diffondono rapidamente le cosiddette varianti del virus.

Intanto, tra disperazione e dolore che si moltiplica soprattutto in molte zone del nostro Paese, il pensiero va a quel 21 febbraio dello scorso anno, quando, poco dopo la mezzanotte, viene ufficializzato il primo caso “autoctono” di infezione al Sars-Cov-2. Il trentottenne Mattia Maestri fa il suo ingresso nell’ospedale di Codogno, in provincia di Lodi. Quello che sembra un cluster locale, si paleserà quasi immediatamente come un mostro che allunga velocemente i suoi tentacoli ovunque. Nel giro di un mese gli ospedali sono al collasso; l’Italia è in lockdown e sulla produzione del Paese cala il buio. Da allora 3 milioni di contagi accertati e oltre 95mila vittime segnano la vita italiana avvolta in una tragedia che sembra non avere fine. Ed i tanto attesi vaccini sembrano un’illusione che secondo alcuni potrebbe finire non prima della fine di quest’anno, ma chi può dirlo se i produttori di vaccini continuano a gestire il farmaco a loro piacimento, se l’Europa non riesce a farsi sentire, se il colorato caos italiano semina sconcerto e preoccupazione, se la velocità dei contagi inglese, sudafricano, brasiliano è di chissà quale altra provenienza cingono d’assedio la fragile Europa perduta dopo un anno tra le promesse e la disperazione.

Già, un anno fa nessuno poteva immaginare che dodici mesi (e più ) dopo ci saremmo trovati a contare vittime e distruzioni orali e materiali come dopo una guerra…
Ricordiamolo.
Il 31 dicembre 2019 le autorità cinesi comunicano all’Organizzazione mondiale della sanità che una sconosciuta tipologia di Sars, simile alla polmonite si è diffusa nella metropoli di Wuhan, un polo logistico e industriale, dove si sperimentano innovazioni tecnologiche di altissimo livello. Wuhan, capoluogo della provincia di Hubei, conta 11 milioni di abitanti. Non si danno notizie sul numero degli ammalati che, a quel tempo, i cinesi non chiamano “contagiati” e non parlano di virus, né di epidemia. Il giorno dopo viene decisa la chiusura del mercato del pesce della città, ritenuto l’epicentro della diffusione del morbo. E si avanza l’ipotesi che la “strana” polmonite possa essere stata causata da qualche animale selvatico macellato nella zona dove peraltro l’igiene è molto scarsa.Dalle prime indagini infatti, è emerso che i contagiati erano frequentatori assidui del mercato Huanan Seafood Wholesale Market a Wuhan, chiuso dal 1 gennaio 2020.

Finalmente tra il 9 ed il 12 gennaio il governo di Pechino ufficializza ciò che vagamente cominciava a circolare in Occidente: la polmonite è un nuovo ceppo di coronavirus, del quale non si conosce ancora la contagiosità. Per questo motivo l’Oms si astiene, commettendo un gigantesco errore di sottovalutazione, di non dover invitare né la Cina, né altri Paesi ad assumere forme di restrizioni o controlli per chi viaggia da e per la Cina, nonostante sia stata accertata la prima vittima ed i contagiati sono poco meno di cinquanta a Wuhan.

Il virus viene definito e nominato “2019-nCoV”. Da quel momento le autorità sanitarie cinesi e l’Oms avvertono che il nuovo coronavirus si trasmette da uomo e uomo, mentre i vertici del Partito comunista tacciono arrogantemente per ben tredici giorni. Soltanto il 21 gennaio il presidente Xi Jinping rilascia la prima dichiarazione ufficiale e mobilità il Paese ad uno “sforzo totale” per frenare l’epidemia. Intanto i morti salgono a 17, mentre il virus si diffonde in Asia fra i Paesi vicini della Cina (Thailandia, Corea del Sud, Giappone, Australia, Hong Kong, Malesia, Singapore, Vietnam e Taiwan). Poi arriva in maniera soft negli Stati Uniti.

In Italia vengono effettuati i primi controlli sui voli in arrivo dall’area dell’epicentro, mentre il ministero della Salute raccomanda di non andare in Cina salvo stretta necessità. Primi casi in Europa: tre persone risultano contagiate dal coronavirus a Parigi e Bordeaux. La Francia è la prima a evacuare i propri cittadini dalla Cina, imitata poi da Spagna, Portogallo e Gran Bretagna. La Germania segnala il primo caso di trasmissione interna e in Italia a fine mese due turisti cinesi provenienti da Wuhan vengono ricoverati allo Spallanzani di Roma, mentre due italiani di ritorno dalla Cina vengono messi in quarantena nella caserma militare della Cecchignola.

Un gruppo di scienziati americani della Johns Hopkins University (nel Maryland) ha sviluppato una mappa per visualizzare e tracciare — quasi in tempo reale — i casi segnalati. Agli inizi di febbraio il virus cambia nome: l’ International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV) classifica il nuovo coronavirus come Sars-CoV-2, nome che l’ European Centre for Disease Prevention and Contro (ECDC) utilizza anche sul suo sito. Viene individuato anche il nome della malattia che deriva dall’infezione da Sars-CoV-2: il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, annuncia la denominazione ufficiale ufficialmente COVID-19: l’acronimo di Co (corona), Vi (virus), D (“disease”, malattia) e 19 (l’anno di identificazione del virus).

Dalle prime congetture si ricava una quasi-certezza: il coronavirus potrebbe essere stato originato da pipistrelli che comunemente in Cina vengono macellati e consumati. Poi sarebbe stato trasmesso ad altre specie animali ed infine avrebbe trovato “ospitalità” negli umani.
È il principio dell’incubo. Si rivelerà la più perniciosa pandemia contemporanea. Il mondo entra in una fase nuova e orribile della sua storia. La globalizzazione della paura, della disperazione, della povertà avvolge in mondo. In pochi giorni cambiano le esistenze di miliardi di esseri umani. Tutti costretti a proteggersi e a convivere con un nemico invisibile. Tutti, variamente disperati, a chiedersi quando finirà.

Finirà con i vaccini che non ci sono per tutti? Finirà dissolvendosi misteriosamente? Se ne andrà come è arrivato, il mostruoso alieno? Intanto le domande acuiscono l’ansia. L’indice Rt aumenta pericolosamente. Ci si attendeva un calo dei contagi e dei morti: da qualche giorno è tutto il contrario. In alcune città i vaccini si o esauriti, neppure alla speranza ci si può aggrappare. Forte della sua autorevolezza, Draghi ha fatto sentire la sua voce ed il disagio dell’Italia: non ci risulta che altri lo abbiano fatto. “Le aziende che non rispettano gli impegni non dovrebbero essere scusate”, ha detto minacciando di cambiare i contratti in essere. È assurdo, insopportabile che l’onnipotente Big Pharma tenga in scacco centinaia di milioni di esseri umani.

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