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“Sì, senatore. Seguiremo la legge”. Così Avril Haines, direttore dell’Intelligence nazionale, aveva risposto durante la sua audizione di conferma a una domanda del senatore democratico Ron Wyden dell’Oregon sul rapporto degli 007 statunitensi relativo all’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, macabramente ucciso nel consolato saudita di Istanbul, in Turchia, il 2 ottobre 2018.

In quella frase c’era, oltre alla promessa di pubblicare il dossier, l’impegno per un approccio alla questione diverso da quello adottato dall’amministrazione precedente. Il presidente Donald Trump, infatti, dopo aver scelto come destinazione del suo primo viaggio all’estero proprio l’Arabia Saudita (tradizionalmente un presidente visita prima Canada o Messico), aveva tenuto il rapporto sotto chiave per non rovinare il rapporto con Mohammad bin Salman, il principe ereditario saudita. Cioè l’uomo scelto — soprattutto dal genero consigliere Jared Kushner, architetto degli Accordi di Abramo e in generale della politica mediorientale degli Stati Uniti negli ultimi quattro anni — come interlocutore privilegiato nella regione. Bin Salman ha accettato la responsabilità di quell’omicidio come leader de facto del Paese ma ha sempre negato ogni coinvolgimento, respingendo le accuse emerse da un rapporto della Cia che già nel novembre del 2018 parlava di convinzione di “livello medio alto” circa la sua implicazione nel caso di cui sarebbe stato il mandante.

Oggi, però, con l’arrivo di Joe Biden i rapporti tra Stati Uniti e Arabia Saudita sono cambiati. A tal punto che sono ormai diventati una quesitone interna alla politica statunitense, come sottolineava alcuni mesi fa un’intervista con Formiche.net William Wechsler, direttore del Rafik Hariri Center dell’Atlantic Council e già vice sottosegretario al Pentagono nell’amministrazione guidata da Barack Obama.

Basti pensare che alcuni giorni fa Jen Psaki, portavoce della Casa Bianca, aveva dichiarato: “La controparte del presidente è re Salman e mi aspetto che, al momento opportuno, avrà una conversazione con lui”. Come spiega Valeria Talbot, head del Mena Center dell’Ispi, a Formiche.net, “l’amministrazione Biden non vuole dare legittimazione a bin Salman, ritenuto non più l’interlocutore principale con cui parlare: questo, sebbene è noto che a Riad il principe abbia un ruolo prominente, serve anche a inviare un messaggio a proposito di un’eventuale abdicazione che sappiamo non è nella tradizione saudita, ma sappiamo anche che le condizioni del sovrano non sono per niente ottimali”. “L’approccio americano mira al Diplomacy First”, spiegava ancora l’esperta: “interrompere l’appoggio alla guerra in Yemen non significa non dare più sostegno e aiuto all’Arabia Saudita infatti, ma è un messaggio simbolico per chiedere severamente uno stop alle azioni avventuriste di bin Salman”.

In precedenza il presidente Biden aveva detto di voler ricalibrare le relazioni con Riad, dalla riapertura all’accordo sul nucleare iraniano allo stop del sostegno ai sauditi nella guerra in Yemen. Senza cedere sui diritti umani. In campagna elettorale aveva accusato apertamente bin Salman di aver ucciso Khashoggi, promettendo in caso di vittoria che non avrebbe venduto armi ai sauditi e che li avrebbe resi “i paria che sono”.

È in questo clima che si inserisce la pubblicazione odierna (preceduta da una telefonata tra il presidente Biden e il re Salman) del rapporto dell’Intelligence nazione secondo cui il figlio del monarca è stato coinvolto nell’omicidio e nello smembramento di Khashoggi. Intanto, nelle scorse ore la CNN ha rivelato, con documenti depositati in Canada ed etichettati come “top secret”, che due jet utilizzati dallo squadrone della morte per raggiungere Istanbul appartengono al fondo sovrano di Riad, controllato dalla corona saudita e presieduto dal principe ereditario.

Matteo Colombo, Pan-European Junior Fellow dell’Ecfr e Associate Research Fellow dell’Ispi, spiega a Formiche.net perché l’impatto del rapporto Khashoggi sarà limitato per quanto riguarda l’Unione europea. Questo perché le relazioni tra i 27 e l’Arabia Saudita “dipendono prevalentemente dai rapporti bilaterali e si basano sul fatto che il Regno sia un alleato”, spiega. “Lo si vede dalle diverse posizioni che gli Stati membri hanno assunto sulla vendita delle armi: da una parte l’impostazione più dura di Italia e Germania; dall’altra quella di Stati come la Francia che hanno un’agenda per l’area Mena molto vicina a quella dei Paesi del Golfo, in particolare Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti”.

Le impostazioni europea e statunitense, continua Colombo, non dovrebbero subire ripercussioni dunque. “Le linee guida rimarranno: puntiamo sui rapporti con i nostri alleati nel Golfo e su Israele. Il grosso cambiamento che l’amministrazione Biden potrà segnare è l’apertura del dialogo con l’Iran”, aggiunge.

“A livello di cooperazione politico-militare poco cambierà, non dimentichiamo l’importanza delle basi militari nel Paese”. Piuttosto, a rischio contraccolpi sarà la narrativa di Riad, dice l’esperto. “A parte la discussione sulla presenza dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, è doveroso sottolineare il clima e gli obiettivi con cui il principe bin Salman aveva organizzato quella conferenza. Quell’idea di rinascimento può uscire ridimensionata da questo rapporto”.

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