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La crisi che stiamo vivendo ci ha definitivamente fatto acquisire la consapevolezza che lo sviluppo tecnologico è essenziale per supportare il sistema sanitario, il sistema educativo, il mondo del lavoro con il controllo da remoto di impianti e infrastrutture. È essenziale, quindi, per rilanciare il potenziale dell’Italia.

Circa 40 miliardi, pari al 20% delle risorse in arrivo da Bruxelles, saranno destinati alla rivoluzione digitale e alla transizione tecnologica. In particolare, alla innovazione nella Pa e alla competitività del sistema produttivo ovvero investimenti in infrastrutture di Tlc ultraveloci e transizione delle imprese.
E, come ha ricordato il ministro Colao nel corso della sua recente audizione in Parlamento, la cifra non può che crescere se si includono anche misure parzialmente digitali, investimenti nella telemedicina e sulle competenze.

Un piano ambizioso che parte dalle infrastrutture digitali con l’obiettivo di garantire la connessione veloce agli italiani, in tutte le case, pubbliche amministrazioni, scuole, strutture sanitarie, entro il 2030, se non addirittura in anticipo rispetto alla dead line che si è data l’Europa.

Si punta, quindi, a favorire la creazione delle reti in tecnologia 5G. Ma anche al cloud nella Pa per immagazzinare i dati, in un’ottica di efficienza e semplificazione, seguendo il principio “once only” per evitare che i cittadini debbano fornire le stesse informazioni ogni volta che interagiscono con un ufficio diverso sia pure della stessa struttura, con la realizzazione di un polo strategico nazionale per razionalizzare i data center delle amministrazioni pubbliche dispersi sul territorio e poco sicuri.

Il tema della sicurezza, a ogni livello e in qualunque ambito, è ovviamente centrale, per cui è necessario prevedere anche un rafforzamento delle capacità di difendersi dagli attacchi cibernetici, mediante l’utilizzo di piattaforme semplici, aperte, programmabili e sicure.

L’ammodernamento delle infrastrutture digitali, con il pieno accesso alla rete, ha la finalità di garantire l’inclusione di tutte le fasce della popolazione. Non sarà semplice perché, anche se l’utilizzo di internet in Italia, nell’ultimo anno, è cresciuto di tre volte, il nostro Paese è tra quelli in Europa con il più ampio digital divide: meno del 34% delle famiglie italiane ha accesso alla banda ultra larga; si registrano ancora dieci milioni di famiglie senza Internet tramite la rete fissa e cinque milioni e mezzo con una velocità inferiore ai 30 mega.

L’inclusione digitale rappresenta una sfida alle disuguaglianze.

In effetti, i dati confermano che disuguaglianza sociale, territoriale e divario digitale sono componenti di uno stesso circolo virtuoso/vizioso con divaricazioni che, a causa dell’emergenza sanitaria, si sono amplificate.

Non si tratta solo di divari tecnologici risolvibili attraverso investimenti economici; il tema è principalmente di cultura e competenza digitale.

La sfida del nostro tempo è, quindi, far sì che la digitalizzazione sia inclusiva. I benefici prodotti dalla trasformazione digitale non devono avvantaggiare solo un ristretto numero di soggetti interessati ma devono arrivare a tutti, senza distinzione di genere, status sociale, livello di istruzione, origine: no one is left behind.

Anche perché le competenze in questo ambito sono, e saranno sempre più, fondamentali, com’è dimostrato dal fatto che rivestono un ruolo cruciale nel programma alla base del Next Generation EU.

In tale prospettiva, l’obiettivo è creare le condizioni per una crescita culturale sempre più interconnessa.

Le competenze digitali avranno un ruolo fondamentale nella ripresa. Laddove per competenze digitali, da non confondere con le capacità tecniche legate all’alfabetizzazione informatica, dobbiamo intendere (per riprendere la definizione data dall’Europa) il saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione.

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