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È un equilibrio fragile, come non mai. Si può ancora parlare di alleanza digitale fra Europa e Stati Uniti? Si può, dopo che la Commissione Ue ha pubblicato due leggi, il Digital Services Act (Dsa) e il Digital Market Act (Dma) che rischiano di provocare uno scontro frontale con la Silicon Valley? Quali sono i presupposti per una strategia comune fra Washington DC e Bruxelles?

Queste le domande al centro della conferenza di Formiche, “Tech and Democracy: The Alliance We Need” di giovedì insieme a tanti relatori internazionali e italiani, dal ministro degli Affari europei Enzo Amendola al all’ex direttore della National Geospatial Agency (Nga) americana Robert Cardillo, dall’ex vice sottosegretario di Stato agli affari cyber Robert Strayer al capo della Rappresentanza in Italia della Commissione Ue Antonio Parenti fino al professore dell’Università di Parigi Jean-Pierre Darnis e al vicepresidente del Parlamento Ue del Movimento Cinque Stelle Fabio Massimo Castaldo.

La nuova normativa dell’Ue, presentata martedì dai commissari al Mercato interno e alla Concorrenza Thierry Breton e Margrethe Vestager, cambia radicalmente le regole del gioco del mondo big tech nel Vecchio Continente. Non solo per un avvitamento della legislazione antitrust contro il quasi-monopolio di mercato di grandi gruppi extra-Ue, ma anche per l’irrigidimento delle regole sulla gestione, il trattamento e lo stoccaggio dei dati, la privacy, i contenuti.

“Il Dsa mira a regolare quello che le compagnie mettono su internet. L’idea è che ciò che è illegale offline lo sia anche online”, ha detto Parenti, approdato lo scorso giugno a capo della rappresentanza italiana della Commissione Ue. “Il Dma guarda invece a quello che le aziende fanno sul mercato, alla sua segmentazione e alla tutela della concorrenza”. L’Ue non ha davvero le armi spuntate: in caso di violazione delle norme antitrust e sulla diffusione di contenuti online, posso arrivare rispettivamente al 6% e al 10% dei ricavi annui.

“Non c’è un intento punitivo, solo quello di limitare eventuali abusi. In Ue abbiamo un solido sistema giudiziario, una corte che non di rado va contro gli interessi della Commissione stessa”. L’Ue e gli Stati Uniti, ha aggiunto l’ambasciatore, “hanno non solo la possibilità ma il dovere di scrivere un’agenda comune sulle nuove tecnologie”. Gli ha fatto eco Strayer, fino a poco tempo fa il più alto funzionario cyber del Dipartimento di Stato, oggi vicepresidente esecutivo del Policy at Information Technol0gy Industry Country, “nel 2021 ci sarà un’occasione straordinaria di scrivere insieme le norme delle tecnologie emergenti, di investire in un I.A. trasparente”.

Certo, la stretta Ue non resterà senza conseguenze, ha riconosciuto Strayer, ed è tutto sommato agli antipodi del modello americano. “Perché le nostre aziende sono diventate le più grandi al mondo? Perché abbiamo limitato la regolamentazione, permesso di investire miliardi di dollari, di fare successo e reinvestire ricavi e profitti in un nuovo ciclo di innovazione, di competere su scala globale. La regolamentazione non facilita la crescita di ricerca e sviluppo”.

Il rischio da scongiurare, insomma, è che dietro la nuova architettura legale si nasconda “un approccio protezionista”. Sarebbe un vulnus nelle relazioni con la nuova amministrazione Biden, con cui invece si può lavorare insieme, “a partire dall’istituzione di un Consiglio Usa-Ue sul commercio di tecnologie”.

Da dove iniziare? Secondo Darnis “il triangolo deve essere completo: le autorità americane e l’Ue possono anche scrivere insieme una road map, ma c’è un terzo convitato, le grandi compagnie tech statunitensi. Prima il governo americano deve risolvere i suoi rapporti con queste piattaforme. Che alleanza si può fare se non hai la percezione del tuo mercato?”.

Una direzione è stata indicata da Cardillo, per anni ai vertici dell’intelligence americana, fino al 2019 ai vertici dell’Nga. Europa e Stati Uniti possono trovare un accordo non tanto su quali mezzi tecnologici investire quanto su come usarli. È il caso dell’Intelligenza artificiale. “Può servire all’agricoltura di precisione, alla previsione di disastri naturali, alla gestione del cambiamento climatico. Ma anche all’intrusione dello Stato nelle nostre vite private, all’interdizione dei rifugiati, all’abuso di potere contro minoranze etniche e religiose”.

Lo sforzo sta allora nel “mitigare il potere dei dati e della tecnologia geo-spaziali con le sfide etiche”. Quali? “La tutela della trasparenza e l’assunzione delle responsabilità, ma anche la difesa della nostra comune idea di democrazia liberale, che non è, come qualcuno dice, un vecchio strumento da rottamare”, gli ha fatto eco Amendola.

“Non abbiamo bisogno di rivalità ma di una composizione di interessi, ricordandoci che condividiamo gli stessi valori e la stessa visione sulla democrazia e i diritti umani”, ha ricordato infine Castaldo. Ue e Usa già cooperano a stretto contatto su tecnologie sensibili, ha aggiunto, “l’autonomia strategica deve mirare a rafforzare il pilastro europeo all’interno dell’Alleanza”.

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