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Le priorità del governo Draghi nell’avviare una “Nuova Ricostruzione” del Paese passano evidentemente dalla gestione del Recovery Fund e dal “Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2“ del ministero della Salute, elaborato in linea con il piano vaccinale anti-covid predisposto dal generale Figliuolo.

Tuttavia, la gestione della più grande crisi dal secondo dopoguerra che l’Italia si trova ad affrontare non può essere scissa dall’attenzione nei confronti delle dinamiche del sistema internazionale, che negli ultimi anni ha assistito a sostanziali mutamenti. In particolare, l’interesse italiano volge lo sguardo a ciò che avviene nelle regioni circostanti, in quanto la sicurezza e la stabilità di quelle aree è un fattore chiave per la costruzione di un futuro prospero e sostenibile per l’Europa intera.

A livello Ue, ciò è stato rimarcato da Emmanuel Macron durante il suo intervento per l’inaugurazione dello Europe Center dell’Atlantic Council – think tank statunitense – dove ha dichiarato che “il Medio Oriente e l’Africa sono il nostro vicinato, non quello degli Stati Uniti”. Inoltre, il presidente francese insiste sul suo cavallo di battaglia, il concetto di autonomia strategica europea, giudicato divisivo da alcuni Stati membri, ed eccessivamente teorico per esempio dall’ambasciatore Vershbow che propone soluzioni più concrete come il rifinanziamento della Pesco. In realtà, “autonomia” significa capacità  di vivere secondo le proprie leggi, ma questo non implica un’azione solitaria ed indipendente a priori.

Le teorizzazioni dell’Eliseo sono conformi agli orientamenti dettati dalla nuova amministrazione statunitense, dove la parola d’ordine sembra essere quella del “multilateralismo”. Quindi, una volontà di autonomia da parte europea richiede un impegno più energico nell’ambito della collaborazione multilaterale tra gli alleati occidentali, soprattutto nell’ambito delle aree europee di vicinato.

Oltre all’Unione europea, l’altro binario su cui viaggia l’Italia è quello dell’Alleanza Atlantica. Il presidente del Consiglio Mario Draghi, durante il discorso programmatico tenuto al Senato il 17 febbraio, ha ribadito che “nei nostri rapporti internazionali questo governo sarà convintamente europeista e atlantista, in linea con gli ancoraggi storici dell’Italia”. La Nato esprime la sua visione politica nel “Concetto strategico”, la cui attuale elaborazione concepita a Lisbona è datata 2010, dove però non viene mai citata la sponda Sud dell’Alleanza, fondamentale per la protezione degli interessi italiani.

A questa stessa idea si ricollegano le parole di Lorenzo Guerini, ministro della Difesa, pronunciate durante l’audizione sulle linee programmatiche del suo Dicastero: “Un’Alleanza che si deve oggi confrontare con nuovi attori, nuove dinamiche internazionali, nuove fonti di stabilità e nuovi domini operativi. Tutti temi che hanno portato ad una riflessione politica… alimentando i lavori dell’iniziativa Nato 2030, dalla quale tra le altre proposte è emersa l’esigenza di rivisitare il concetto strategico dell’Alleanza… con particolare riferimento a quel fianco Sud che coincide in larga parte con il nostro Mediterraneo allargato”.

Perciò, la volontà di una presenza rafforzata nel Mare nostrum è propedeutica all’obiettivo di far percepire tali azioni come fattore di accresciuta stabilità nell’area. Di conseguenza, l’impegno militare nella regione e la presenza italiana in missioni al di fuori delle proprie frontiere è il perno “intorno al quale si coagulano gli sforzi per promuove e dare concretezza ad iniziative bilaterali e multilaterali che portano positive ricadute al nostro Paese non soltanto in termini di sicurezza e di credibilità internazionale dell’Italia, ma anche sotto il profilo economico ed industriale”.

Sempre nella stessa audizione parlamentare del 9 marzo scorso, il ministro Guerini ha definito come priorità strategica la pacificazione della Libia, la cui articolata situazione interna, ulteriormente complicata dalla presenza di nuovi attori e dalla conseguente aumentata competizione strategica, necessita un approccio più deciso da parte italiana. Infatti, “a questo riguardo continueremo ad esercitare la nostra azione verso i paesi alleati per far comprendere l’importanza di un adattamento sostanziale della Nato verso Sud in termini di piani e di capacità necessarie a favorire la stabilizzazione delle aree di crisi, dove crescono gli  spazi per nuovi rischi e nuove minacce”.

Da questa necessità quindi si deduce la ragione  della volontà di un intervento all’interno della cornice della Coalizione per il Sahel, cioè la partecipazione alla task force Takuba, missione a guida francese, dove sono già presenti Estonia, Repubblica Ceca, Belgio, Olanda, Danimarca, Svezia, Grecia e Portogallo. Takuba ha lo scopo di addestrare le truppe di Mali, Niger e Burkina Faso. Questa azione porterà ad un beneficio in termini di stabilità di una regione adiacente alla Libia, opponendosi inoltre alle minacce terroristiche presenti nel Sahel. Il via libera alla missione è stato definito dal Parlamento nel luglio 2020, durante il Governo Conte II. Il 10 marzo è stata inviata la prima “aliquota” di persone sul posto, tale contingente arriverà a contare 200 uomini.

Come si ricava dalla scheda n. 29-bis/2020 all’interno del dossier sull’Autorizzazione e proroga missioni internazionali nell’anno 2020 “apparterranno a rotazione a numerosi reparti di grande esperienza fra cui il 9° Reggimento “Col Moschin”, il Gruppo Operativo Incursori della Marina, il GIS dei Carabinieri, il 4° Reggimento Alpini Parà “Monte Cervino”, il RRAO e il 17° Stormo dell’Aeronautica Militare”. Il quartier generale italiano sarà posizionato in Mali, ad Ansongo, nella regione di Gao. Il mandato prevede, tra le altre cose: “Supportare le forze armate e le forze speciali locali nel potenziamento delle capacità di contrasto alle minacce per la sicurezza derivanti da fenomeni di natura terroristica transnazionale e/o criminale”.

Questa formula esprimerebbe ciò che Florence Parly, ministro della Difesa Francese ha definito come attività che avverranno anche “outside the wire”. Ecco, quindi, come il nuovo governo inaugura la propria postura internazionale, tra Nato ed Eu, affrontando le minacce islamiste provenienti dal Sahel che proiettano ulteriore destabilizzazione e precarietà verso il territorio libico. Azione militare concretizzata in questo caso, onorando l’impegno preso dal precedente esecutivo.

Come ha affermato il generale Arpino, in questo momento l’Italia ha una visione piuttosto chiara ed anche gli argomenti per difenderla, per questo motivo “è un’occasione che non va sprecata. Se c’è la volontà, con un pizzico di coraggio ci si può riuscire”. Soprattutto perché, il contesto Mediterraneo, anche nella sua concezione “allargata”, rappresenta come Sergio Romano ha affermato, “il nostro capitale geopolitico”.

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