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C’è posto per un centro politico in Italia, oggi? Con quali prospettive? E quale centro? Già solo porsi queste domande sarebbe stato inconcepibile fino a trent’anni fa. La storia repubblicana ci dice che l’Italia è stata governata sempre da un grande partito di centro, che univa in sé anime anche molto diverse, e che aveva dei piccoli satelliti che le ruotavano attorno e con cui si alleava condividendone la politica “moderata”. Questi ultimi le si distinguevano come “laici” e coltivavano un proprio nobile “orticello” che era saldamente però impiantato nelle culture politiche nazionali. Il sistema proporzionale favoriva questa soluzione, che in pratica non aveva alternativa: a destra, vigendo la pregiudiziale del cosiddetto “arco costituzionale” che escludeva a priori gli eredi del fascismo; e a sinistra, essendoci un grosso partito che poteva contribuire sì alla vita democratica del Paese ma non poteva superare per principio una certa soglia, cioè quella appunto quella del governo.

La venuta meno del “fattore k” per motivi geopolitici, e affermatosi un sistema tendenzialmente maggioritario, il centro politico si è logicamente sgretolato. Chi faceva parte di esso, ha scelto uno o piuttosto l’altro schieramento in una logica bipolare. Non è un caso perciò che di un centro in senso politico si sia cominciato a parlare solo negli ultimi tempi, quando cioè al sistema proporzionale si è ricominciato a guardare tanto che il governo precedente lo aveva messo addirittura in cantiere fra le priorità. Con l’avvento di Mario Draghi, le priorità, come è noto, sono diventare altre, ma questo non toglie che prima della fine della legislatura il problema della riforma elettorale debba di necessità essere affrontato e risolto (vista l’approvazione del ridimensionamento delle Camere, confermato dal referendum).

Il fatto è che, però, ora che la Lega (a cui il proporzionale non conviene) è in maggioranza, e il Pd è guidato da un Enrico Letta che è per cultura di formazione ulivista e maggioritaria, le prospettive del proporzionale sembrano allontanarsi. Se però la nuova auspicabile stagione della politica italiana segnerà un ritorno della cultura politica come presupposto e fucina della stessa politica, è indubbio che il centro non potrà non avere un futuro come ideologia. Il proliferare di iniziative culturali “di centro” che si pongono a ridosso della politica, ma non hanno (ancora?) uno sbocco politico, è da leggere in quest’ottica: da Base Italia dell’ex sindacalista Marco Bentivogli alla recente Programma per l’Italia di Carlo Cottarelli, per intenderci. A queste iniziative, come nella tradizione, aderiscono sia politici puri sia intellettuali di area con non nascoste ambizioni politiche.

Che queste iniziative di “centro culturale” vedano la luce proprio mentre il “centro politico” dà segni di profonda crisi, non è quindi fatto da destar meraviglia: la crisi di “più Europa”, che ha visto le dimissioni di due leader come Emma Bonino e Benedetto Della Vedova; l’impasse di “Azione”, che Carlo Calenda sta provando a superare con la candidatura alle comunali di Roma; lo stesso vicolo cieco a cui sembra essere approdato Matteo Renzi con “Italia Viva”, son fin troppo eloquenti. C’è però un dato da considerare: queste aggregazioni e disaggregazioni interessano esclusivamente il centro che guarda a sinistra, mentre quello che guarda a destra (dagli ex democristiani al duo Toti-Quagliariello) sembra essersi definitivamente acquietato nella coalizione di riferimento. Il fatto è che a questo centro non appartiene solo più una tendenzialmente una minuscola Forza Italia, o addirittura solo una parte di essa, ma anche con molta probabilità una Lega approdata a lidi liberali e produttivistici. Di Grande Centro, nessuno più parla.

Checco Zalone, in una gag famosa, a chi gli chiedeva se fosse di centrodestra o centrosinistra, rispondeva che era di centro “di dietro”, cioè avrebbe visto come evolveva la situazione e poi si sarebbe buttato col vincitore. Questa situazione “opportunistica”, o dei “due forni”, è naturalmente connaturata ad ogni centro, ma per fortuna questo problema non si propone all’interno di un Centro unico e compatto che semplicemente non c’è o è naufragato. Si ripropone però nel centro che guarda a sinistra, e dipenderà molto dalle scelte che farà Letta. Il nuovo segretario dl Pd conserverà la barra a sinistra, seppur con molti distinguo, come ha fatto il suo predecessore, o farà del Pd un partito più marcatamente moderato e tendente al centro? Se valesse la seconda, di un centro politico anche a sinistra non ci sarebbe proprio più bisogno. Per ora, il centro non ha ancora del tutto trovato il proprio centro di gravità permanente. Tuttavia, lo cerca.

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Il nuovo segretario del Pd conserverà la barra a sinistra, seppur con molti distinguo, come ha fatto il suo predecessore, o farà del Pd un partito più marcatamente moderato e tendente al centro? La bussola di Corrado Ocone

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