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Le elezioni presidenziali in Algeria si sono concluse con un’affluenza del 48%, in aumento rispetto al 39% delle elezioni del 2019, tuttavia non sufficiente per definire un successo la vittoria di Abdelmadjid Tebboune, presidente uscente. L’alto livello di astensionismo era uno dei principali punti di preoccupazione per la leadership, che cercava nel voto legittimazione. Il risultato mostra invece che, nonostante un aumento rispetto alle precedenti elezioni, una parte significativa della popolazione ha deciso di non recarsi alle urne — probabilmente in protesta contro la presidenza.

L’astensione alle elezioni mina la legittimità democratica del mandato di Tebboune. Nonostante la sua vittoria sia quasi certa, la bassa affluenza indica una mancanza di sostegno popolare. Qualcosa di simile è già avvenuto nel 2019, e ora il presidente rischia nuovamente di non riuscire a presentarsi come un leader supportato dal popolo, ma piuttosto come una figura imposta grazie al sostegno dell’esercito e al controllo autoritario del sistema politico.

Questo fenomeno di disinteresse elettorale è radicato nella delusione della popolazione, che aveva sperato in un cambiamento con il movimento “Hirak”, responsabile della caduta del precedente presidente, Abdelaziz Bouteflika. Tebboune, nonostante le promesse di riforme, ha progressivamente rafforzato il suo potere attraverso un governo autoritario e l’adozione di misure repressive. La popolazione, disillusa dal mancato cambiamento, ha perso fiducia nel processo elettorale e non vede nelle elezioni un’occasione di rinnovamento, ma piuttosto una conferma dello status quo.

Inoltre, molti partiti di opposizione hanno scelto di boicottare il voto, contribuendo ulteriormente all’astensione. L’opposizione ritiene che le elezioni siano manipolate dal regime e non offrono alcuna possibilità di un reale cambiamento politico. È il processo elettorale stesso a essere messo in discussione, con accuse di frode, arresti di candidati e attivisti, e un controllo serrato da parte delle autorità, il che ha ulteriormente scoraggiato la partecipazione degli elettori.

L’astensione, quindi, non solo riflette il malcontento e la sfiducia nella democrazia algerina, ma rappresenta anche una seria sfida per Tebboune, che non riesce a guadagnarsi una legittimazione popolare più ampia. Anche se riuscirà a vincere queste elezioni, continuerà a governare un Paese dove una parte significativa della popolazione è alienata dal processo politico e non crede nelle istituzioni ufficiali.

Tale condizione di instabilità è un problema con riflessi anche regionali. L’Algeria è infatti un Paese centrale per dinamiche ed equilibri dell’area Middle East and North Africa, in particolare nel Mediterraneo. Per l’Italia, la situazione ad Algeri è importante perché la nazione nordafricana è stata scelta dal governo Draghi come sostituto principale nel processo di sganciamento dalle dipendenze dalle forniture russe di gas

Per ragioni pratiche (l’Algeria era già un fornitore italiano, collegato già a livello infrastrutturale e disponibile ad aumentare le vendite), l’Italia ha attualmente affidato al Paese di Tebboune circa il 40% di forniture di gas naturale. Questo significa che i destini interni algerini sono interesse nazionale per Roma. Quanto accade dimostra che in Algeria, come altrove (per esempio in Egitto o Tunisia), la stabilità garantita dalla continuazione della presa sul potere delle leadership è solo questione superficiale. Sotto la superficie ribolle il malcontento.

Presidenziali in Algeria. Per Tebboune il problema è il malcontento

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