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Ieri papa Francesco ha annunciato, dal balcone di Piazza San Pietro, che il prossimo 28 novembre si terrà un Concistoro per la nomina di tredici nuovi Cardinali. Di questi, due nomine vengono dalla Curia, e sono quelle di monsignor Marcello Semeraro, nuovo Prefetto della Congregazione per le Cause dei santi subentrato al cardinale Becciu, e del maltese Mario Grech, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi. Dopodiché, si guarda ancora alle periferie del mondo. I nuovi porporati infatti provengono da Paesi ampiamente sottorappresentati in passato tra i cardinali, alcuni per niente rappresentati.

Come Cile, Messico, Filippine, Ruanda o Brunei. Questi sono, in successione: mons. Celestino Aós Braco, Arcivescovo di Santiago del Cile e frate cappuccino chiamato a rinnovare la chiesa locale dopo il duro scandalo della pedofilia degli ultimi anni; mons. Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo emerito di San Cristóbal de las Casas, in Messico; mons. José Advincula, arcivescovo di Capiz, nelle Filippine; mons. Antoine Kambanda, arcivescovo di Kigali, in Ruanda, sopravvissuto al genocidio del 1994 dove tutta la sua famiglia, eccetto suo fratello che vive in Italia, perse la vita; mons. Cornelius Sim, vescovo titolare di Puzia di Numidia e vicario apostolico di Brunei, Kuala Lumpur.

Ma ci sono anche gli Stati Uniti, con il 72enne Wilton Daniel Gregory, arcivescovo di Washington pubblicamente situato nel fronte opposto al presidente Donald Trump, e al contrario molto aperto alla comunità lgbt, all’interno di un episcopato, quello statunitense, fortemente segnato dalle divisioni interne. Un messaggio che ai più è suonato come forte e chiaro. Il neo-cardinale Gregory è inoltre anche il primo cardinale afroamericano della storia. Anche qui, per i più maliziosi, un segnale di ammiccamento di non poco conto all’ondata di proteste scaturite in tutti gli Stati Uniti al grido di “Black Lives Matter”, a soltanto pochi giorni dalle prossime elezioni presidenziali.

Gregory aveva criticato pubblicamente e in maniera molto dura la foto fatta scattare dal presidente Trump davanti alla statua di Giovanni Paolo II, nel Santuario nazionale di Washington, subito dopo i giorni della dura repressione della polizia americana contro le proteste. “Trovo sconcertante e riprovevole che qualsiasi istituzione cattolica accetti di essere manipolata e che di essa si faccia cattivo uso in maniera da violare i nostri principi religiosi, che invece ci chiamano a difendere i diritti di tutte le persone, anche di quelle con le quali possiamo non essere d’accordo”, sono le parole di fuoco che aveva pronunciato l’afroamericano.

Al di là dei singoli casi, però, uno degli aspetti che risalta più all’occhio è il fatto che una metà dei nuovi porporati saranno italiani. Oltre a Semeraro, saranno cardinali infatti mons. Paolo Lojudice, Arcivescovo di Siena e per anni parroco di periferia nel quartiere romano di Tor Bella Monaca; il giovane francescano Mauro Gambetti, Custode del Sacro Convento di Assisi, che Francesco ha incontrato anche poche settimane fa per la firma di “Fratelli Tutti” (“mi ha fatto uno scherzo da Papa”, ha commentato Gambetti); il nunzio mons. Silvano M. Tomasi, a lungo osservatore permanente alle Nazioni Unite di Ginevra, oltre che scalabriniano che si è occupato a lungo del fronte dei diritti umani e inevitabilmente anche del tema dei migranti; il Predicatore della Casa Pontificia, il cappuccino Raniero Cantalamessa; infine mons. Enrico Feroci, parroco a Santa Maria del Divino Amore a Castel di Leva e a lungo direttore della Caritas di Roma.

Fin dall’inizio del suo Pontificato il Papa è riuscito a spiazzare continuamente ogni tipo di lettura data da osservatori e analisti. Puntando sulla capacità di demolire ogni previsione, giocando d’astuzia e dando, se così si può dire, un colpo al cerchio e un altro alla botte. Se infatti per molti osservatori il rapporto del Papa con i vescovi italiani non è affatto idilliaco, come non lo è mai veramente stato fin dal giorno della sua elezione, le nomine vanno di fatto nella direzione contraria, operando un ulteriore scombinamento delle carte in tavola. Ma il rapporto con la Cei di Francesco resta di fatto ancora oggi tormentato, come dimostrano le vicende del Coronavirus, sul tema della sospensione o meno delle celebrazioni nella prima fase della pandemia, la resistenza al processo di accorpamento delle diocesi chiesto dal Pontefice e la scarsa propensione all’avviamento di un percorso di tipo sinodale nella Chiesa italiana.

“Il Papa all’Angelus ha annunciato tredici nuovi cardinali. Tra essi sei sono italiani: ed è insolito che una metà siano nostrali. S’accrescono le modalità di uscita dalle regole tradizionali nella scelta dei ruoli e delle sedi, uscita praticata da Francesco fin dal primo concistoro, nel gennaio del 2014”, ha commentato il decano dei vaticanisti italiani Luigi Accattoli. Per altri, invece, la notizia segna anche il proseguimento di una secca reazione, da parte di Francesco, alle voci che parlavano di un indebolimento del suo Pontificato durante il coronavirus. Dopo lo scandalo finanziario vaticano e la pubblicazione dell’Enciclica Fratelli Tutti, l’indizione del Concistoro segna quindi un nuovo cambio di passo.

Tra i grandi assenti, c’è ancora l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini. Ciò è dovuto al fatto che l’arcivescovo emerito, il cardinale Angelo Scola, è ancora elettore. Ma restano ancora escluse dalla porpora le sedi storiche di Venezia, Torino e Palermo. Un’altra caratteristica che salta all’occhio, oltre quella del numero esorbitante degli italiani, è quella della nomina di tre frati francescani, vale a dire Gambetti, Cantalamessa e Aos Braco.

“Esprimo gratitudine al Santo Padre per aver chiamato sei confratelli nel sacerdozio ad aiutarlo nel servizio alla Chiesa universale. Le Chiese che sono in Italia affidano al Signore i nuovi cardinali”, è quanto affermato dal presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti. “Conosco ciascuno di loro  e sono certo che sapranno vivere questa nuova responsabilità con intensità e umiltà. Il cardinalato, come ci ricorda il Santo Padre, non significa una promozione, né un onore, né una decorazione; semplicemente è un servizio che esige di ampliare lo sguardo e allargare il cuore”, ha proseguito Bassetti.

Il numero degli elettori ora è di 129, ben 9 porporati oltre il limite di 120 che era stato fissato da Paolo VI e Giovanni Paolo II (8 se si conta che a novembre compirà ottant’anni l’arcivescovo emerito di Washington Donald W. Wuerl, e che tornerà sotto la soglia nel momento in cui, entro un anno e mezzo, altri 8 cardinali supereranno il limite di età), su 232 totali. I cardinali italiani, 22, rappresentano ancora la componente più numerose del Sacro collegio, dopo di cui c’è quella statunitense con 9 rappresentanti.

Ma la sostanza che emerge è che papa Francesco, anche stavolta, ha allargato ancora di più il collegio cardinalizio inserendo altre personalità che rispecchiano le sue posizioni, che ora rappresentano una percentuale sempre più ampia del totale degli elettori. Il fatto poi che siano stati rappresentati tutti i continenti rende sempre più nitida, contro ogni impressione sviante, l’immagine della Chiesa “in uscita”.

“Preghiamo per i nuovi Cardinali, affinché, confermando la loro adesione a Cristo, mi aiutino nel mio ministero di Vescovo di Roma, per il bene di tutto il santo popolo fedele di Dio”, è quanto ha chiesto il Papa dopo avere annunciato pubblicamente la notizia.

I nuovi cardinali di papa Francesco. Chi sono e cosa ci dicono

Il Pontefice ha annunciato, dal balcone di Piazza San Pietro, che il prossimo 28 novembre si terrà un Concistoro per la nomina di 13 nuovi Cardinali. Il dato più sorprendente è che sei di questi siano italiani. Ma il processo di “Chiesa in uscita” continua…

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