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In Europa, per la prima volta, da premier. Per Mario Draghi, nella nuova vesta di presidente del Consiglio la responsabilità, al summit di questi due giorni, di sedere nuovamente a capotavola. Calzare il nuovo abito e tornare mediatore dei rapporti transatlantici alla luce di scenari e sfide che “non riguardano solo il nostro Paese, bensì tutte le democrazie: dal Nord America al Canada, passando per la Russia fino al mediterraneo”. Ne è convinta Nadia Urbinati, docente e politologa che con Formiche.net fa una proiezione sulle sfide che il premier si troverà ad affrontare nei rapporti transatlantici e non solo.

Professoressa Urbinati, Mario Draghi è uno che ai tavoli europei, seppur in veste differente, è abituato a sedere. La sua statura professionale e il suo profilo istituzionale pensa che potranno essere elementi funzionali a riabilitare il nostro ruolo nella compagine internazionale?

Partiamo da un presupposto: su scala europea il nostro Paese è tornato a distinguersi quando ha giocato un ruolo da protagonista nell’ambito del Recovery Fund. La lunga trattativa, durata fino al luglio scorso, è stata fondamentale. A mio giudizio Draghi capitalizzerà quanto fatto fino ad ora, esercitando il suo potere nei limiti delle prerogative del presidente del Consiglio di un Paese, ovviamente (non è più governatore della Banca Centrale Europea). Le sfide sono tante e passano senza dubbio dalla necessità di impostare buoni rapporti con la Cina e con le sue basi continentali (dall’America Latina alla parte dell’Africa sub equatoriale), ai rapporti col mondo arabo. Parlando degli Stati Uniti, c’è un elemento di grande discontinuità, segnato dall’elezione di Biden. Infatti, mentre Trump aveva pressoché interrotto tutti i rapporti con l’Ue, il neo presidente sembra intenzionato a recuperarli in maniera stabile.

Sul fronte mediorientale gli “Accordi di Abramo” hanno sancito un passo avanti non da poco. A caldeggiarli, fu proprio Donald Trump.

Infatti. Questo sarà un elemento di continuità per cercare di costruire in Medioriente l’equivalente dell’alleanza Nato. Invece, un ulteriore elemento di discontinuità è rappresentato dai rapporti USA con la Cina. L’amministrazione precedente aveva instillato nell’opinione americana un profondo sentimento anti-cinese, oltre ad una forte ideologia nazionalistica. Ora la sensibilità è opposta. In qualche modo sarà una ‘challange’ per la prossima alleanza atlantica, con la consapevolezza che anche l’Europa ha bisogno di intrattenere buoni rapporti con il paese del Dragone. Si tratterà di capire anche gli altri attori europei come si comporteranno: la Germania nell’era post Merkel e la Francia.

Torniamo all’Italia e alle polemiche sulla composizione del governo. Si è fatto un gran parlare della mancanza di donne nell’esecutivo. Le polemiche sono partite soprattutto dalle parti del Pd, tanto più che, probabilmente, ci si sarebbe aspettati un maggiore coinvolgimento delle quote rosa dem. Lei che idea si è fatta da questo punto di vista?

Penso che sia una polemica. Sterile. Perché non è da oggi che esiste un problema legato alla presenza delle donne in politica. D’altro canto ritengo che le donne in primis dovrebbero essere più aggressive nel rivendicare il loro tributo di presenza. In quanto al Pd è presto detto: perché le donne all’interno dello scacchiere democratico non hanno “urlato” prima della composizione del governo, anziché lamentarsi a posteriori? Forse lo hanno fatto ma non è emerso nella stampa.

Parte fondamentale del governo Draghi è rappresentata dal Movimento 5 Stelle, attraversato da tensioni importanti. Lei crede che potranno essere un partner stabile nonostante tutto?

Penso che l’anno di Draghi porterà un mutamento nell’ambito dei 5 Stelle. Per ora sono una forza parlamentare, un gruppo di eletti che si sono posti un problema che è importante (che già in altri Paesi i partiti si sono posti da tempo): instaurare un rapporto diretto tra società e politica, rappresentanti e cittadini. In maniera non solo mediata dagli organismi di partito ma anche diretta. Ora i 5S non hanno una forma ben definita, tuttavia potranno raggiungerla e diventare partito.

Attraverso l’alleanza strutturale col Pd?

Non c’è, mi sembra, l’obiettivo di un’alleanza strutturale tra i dem e i 5 Stelle. C’è semplicemente la condivisione di un campo comune in vista dei prossimi appuntamenti elettorali. Anche perché il centrodestra si presenterà compatto in un “campo ben arato”, mentre il centrosinistra è disaggregato. Quindi la condivisione del campo è una prospettiva a mio giudizio auspicabile.

In questa fase, l’ex premier Conte che ruolo potrà avere?

Si è dimostrato capace di essere un ottimo regista e uomo di mediazione tra Pd e 5 Stelle. Credo, peraltro, che abbia tutte le prerogative per poter traghettare il Movimento da compagine anti sistema alla forma partito.

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