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L’irrilevanza del mondo cattolico è sotto l’occhio di tutti, per questo da qualche tempo ex politici in pensione, uomini di cultura e anche di Chiesa si stanno agitando per un impegno diretto dei cattolici in politica e qualcuno, nostalgico della Balena bianca, come comunemente veniva indicata la Democrazia Cristiana, si è già lanciato nell’iniziativa.

È un tentativo di trovare spazio oltre i partiti attualmente “sulla piazza”. Una tentazione che vuole apparire nuova, ma che è antica e già sperimentata con risultati fallimentari come quelli di Todi 1 e Todi 2, che sappiamo tutti come andarono a finire.

Questo nuovo partito – si dice – nasce come risposta agli ultimi cambiamenti politici e come erede della vecchia linea dottrinale, che era appartenuta alla DC, per creare un luogo politico favorevole al dialogo tra laici e cattolici, nella speranza di essere in grado di offrire a questi ultimi, al suo interno, una presenza non insignificante. Quindi, in ultima analisi, si ripropone, dopo un periodo di riflessione, un’area sostanzialmente di Centro ma che guarda, come nel passato, a sinistra come luogo politico per eccellenza dei cattolici.

Una presenza cattolica di impegno diretto nel mondo politico italiano non è certo una novità.

Dopo l’ultima guerra mondiale, il popolo italiano guardò alla Chiesa come primo e stabile riferimento in un grave momento di rinnovamento politico e culturale e, nonostante la Chiesa avesse sempre riconosciuto la libertà di voto dei cattolici, la Democrazia cristiana divenne la più importante forza di governo.

Questa fase durata circa venti anni, ebbe una rottura con le elezioni del 1994, all’indomani degli scandali politici (tangentopoli) che investirono la Democrazia cristiana. Allora l’elettorato, massicciamente condizionato dalle indagini dei Procuratori della Repubblica si schierò in maggioranza a destra o a sinistra, frantumando tutta l’area di centro. La DC venne distrutta sotto il peso della condanna morale.

Alle elezioni del 1994 i cattolici – richiamati con una lettera ai vescovi italiani del 6 gennaio dello stesso anno da S.S. Giovanni Paolo II, che auspicava un “bilancio politico del passato dal dopoguerra ad oggi” per “sottolineare le responsabilità dei cattolici di fronte alle sfide dell’attuale momento storico” – preferirono lo schieramento anticomunista, ma nel 1996, nella tornata elettorale successiva, molte associazioni ecclesiali si spostarono e si posizionarono a sinistra. Questa scelta si rivelò determinante per il successo della coalizione guidata dall’ex PCI.

Questa geografia con l’alternanza trai due schieramenti di centro-destra e di centro-sinistra durò per tutta la cosiddetta Seconda Repubblica e non si limitò alla sola dimensione politica, ma si presentava sopratutto come un’alternativa culturale e persino teologica: attorno al Polo delle Libertà si raccolse quella grossa fetta di cattolici non sedotta dal social-marxismo e che aveva chiara l’identità cattolica come unica alternativa alla scelta progressista e postcomunista. Viceversa, nella scelta di “Ulivo” e “Rifondazione comunista” si collocò il cristianesimo legato ad alcune associazioni ecclesiali, veri e propri “cobas” del mondo cattolico, storicamente antiromano con derive protestantiche. In sostanza si trattava di un mondo in aperta contestazione al Pontefice del tempo (Giovanni Paolo II) e sostanzialmente critico rispetto alla linea dottrinale “ortodossa”. Alcuni vescovi allora invitarono esplicitamente a votare per l’Ulivo e per la sinistra.

Come si vede, la storia si ripete, anche se l’esperienza avrebbe dovuto pur aver insegnato qualcosa.

C’è da domandarsi perciò se il nuovo partito possa essere una strada praticabile ed opportuna per risolvere la “questione cattolica”.

In realtà non c’è il rischio di creare uno strumento creato in laboratorio, senza alcun radicamento nella società, artificioso e velleitario?

Anche perché viene da chiedersi perché un’operazione di questo tipo, venga “pensata” e promossa oggi quando ormai ha dato tutti i suoi frutti avvelenati l’attacco senza precedenti ai cosiddetti “principi non negoziabili”: alla famiglia, alla vita, alla scuola libera, la stepchild adoption, l’utero in affitto, l’inseminazione artificiale, l’introduzione di fatto dell’eutanasia e delle teorie gender nelle scuole ecc. ecc.?

Quali allora sono oggi – dobbiamo chiederci – i rischi che corrono i cattolici che tentino un approccio diretto con la politica e si lancino in un’avventura di questo tipo?

Innanzitutto c’è il problema della mancanza di leadership: se ci si guarda in giro, c’è il deserto e senza la quale non potrà nascere una nuova identità politica e nemmeno abbozzare una nuova proposta politica.

Ed allora non sarebbe più opportuno e più in linea con l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa puntare sul rilancio dei corpi intermedi?

Di fronte al deserto della rappresentanza intermedia ed al vuoto pneumatico tra potere di vertice, istituzioni, la stessa politica e la base sociale del Paese, va rivitalizzato proprio quello spazio intermedio che sta tra la globalizzazione ed i territori locali con tutti i suoi corpi sociali: famiglia, ordini professionali, associazioni di categoria, le imprese, le associazioni di volontariato, il terzo settore, ma anche le province ed i comuni.

Si tratta, insomma, di fare un grande lavoro per ricostruire la società nella sua dimensione intermedia. Per questo bisogna restare, da un lato, sul territorio e, dall’altro, interpretare gli interessi particolari dei diversi soggetti sociali e politici, evitando di continuare a privilegiare le grandi centrali di rappresentanza ed i partiti, che, peraltro, non esistono più, ed evitando di lanciarsi in avventure azzardate, nostalgiche e prive di concrete prospettive future.

Proprio alla luce di questa impostazione strategica condividiamo quanto il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il Cardinale Gualtiero Bassetti, disse tempo fa alla scuola di formazione e cultura politica organizzata dalla rivista Il Regno e dalla Comunità di Camaldoli, secondo il quale non c’è alcun bisogno di immaginare la creazione di un partito dei cattolici, per dare a questo mondo una rappresentanza politica.“La Chiesa non può e non intende entrare direttamente o formulare opzioni di parte o creare direttamente o indirettamente un proprio strumento partitico. Essa può chiamare a raccolta tutte le coscienze, a cominciare da quelle dei credenti, invitando tutti a una nuova stagione di responsabilità personale attorno a valori fondamentali”, aveva detto Bassetti.

Non serve un nuovo partito dei cattolici. La visione di Pedrizzi

La mancanza di leadership è il problema: c’è il deserto e senza leadership non potrà nascere una nuova identità politica e nemmeno essere impostata una nuova proposta politica. Non sarebbe più opportuno puntare sul rilancio dei corpi intermedi?

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