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“Ha ragione Giancarlo Giorgetti e non ha torto Matteo Salvini. Descriverli uno contro l’altro è fantascienza”. Alberto Michelini risponde al telefono quasi sottovoce. “Se solo Matteo capisse che c’è una massa di cattolici che non va a votare, altro che 26%”. Giornalista, storico corrispondente del Tg1, settantanove anni e una vita di impegno politico. Prima fra le fila della Dc, “ma non ero iscritto”. Poi promotore del “Patto Segni”, infine in Forza Italia, dieci anni. Cattolico, biografo e amico di Giovanni Paolo II, moderato reo confesso, non ha mai abbandonato la speranza di veder (ri)nascere in Italia una grande forza popolare, conservatrice, di centro.

Oggi quella prateria aspetta la Lega, dice lui, che con via Bellerio ha una discreta consuetudine. Niente tessere di partito, anzi. Ma un datato rapporto personale con Giorgetti, il vicesegretario e responsabile degli Esteri, e uno cordiale con il “Capitano”, che, a dispetto dei cliché, “sa anche ascoltare”. Chi racconta una “faida” fra moderati ed estremisti dentro al Carroccio non dice il vero, spiega Michelini a Formiche.net, perché “Salvini non è un estremista”.

“Con Giorgetti c’è una sinergia vincente. Da una parte hai il mattatore di piazza, che porta i voti, dall’altra un moderato, discreto, che gode di grande stima di tutti, da Mattarella a Draghi”. Quella suggestione del numero due sul dialogo con il Ppe con cui, ha ammesso lui dal palco della kermesse a Catania dove Salvini ha affrontato l’udienza preliminare del caso Gregoretti, la Lega “ha il dovere di dialogare”, “è sacrosanta”, dice Michelini.

“C’è una massa di gente che non vota più. Potrebbe farlo di nuovo, se la Lega si presentasse come partito che dialoga con il Ppe, che guarda all’Europa con interesse pur con la volontà di cambiarla e migliorarla”. Per uscire dall’angolo sovranista a Bruxelles, però, si deve partire da un lavoro di re-styling in casa. Qui il cattolico Michelini sussurra un consiglio non richiesto al leader. “Tanti cattolici cercano un partito che difenda la vita, la famiglia. Chi può farlo se non la Lega? Sono stato il primo a proporre l’istituzione di un ministero della Famiglia, so di cosa parlo. Oggi gli altri partiti, nella migliore delle ipotesi, su questi temi lasciano libertà di voto”.

Fra le truppe leghiste, l’idea di spezzare i ranghi sovranisti per parlare con i popolari in Ue raccoglie non pochi proseliti. In un’intervista alla Fondazione De Gasperi (che fa riferimento proprio al Ppe), il presidente del Copasir Raffaele Volpi ha detto che “bisogna nuovamente considerare quali sono gli spazi comuni”. Salvini frena, “ho chiesto il voto degli italiani per cambiare l’Europa e la cambio con la Merkel?”. Ma l’equazione Merkel-Ppe, avvisa Michelini, non è più così vera.

“L’eclisse politica della Merkel è dovuta a un fattore anagrafico. Come Kohl, come la Tatcher anche lei ha fatto la storia. Ora la Cdu sta per rinnovare la sua leadership, guarda al futuro. E la Lega deve convincersi che è una forza di centro, non di destra”.

Salvini, insiste l’ex inviato del Tg1, “non è un estremista”. Così lo descrive “la sinistra, perché non consente di crescere a un’altra forza di centro che non le sia subalterna”. Michelini riavvolge il nastro fino agli anni ’90. “Ricordo quando Segni fece un accordo, tardivo, con Martinazzoli. L’Espresso lo mise in copertina, vestito da Batman. Tutti lo vezzeggiavano. Appena decise di andare avanti da solo, senza abbracciare la sinistra di Occhetto, l’incanto finì. Ricordo i drappelli dei centri sociali che si presentavano puntuali a contestare qualsiasi suo comizio. Non era diverso da quello che succede a Salvini oggi”.

In verità, spiega Michelini, il segretario ha già capito che l’oltranzismo non paga, che darsi una moderata, a volte, è una strategia vincente. Ha ricevuto consigli autorevolissimi per imboccare questa direzione. Come quello del cardinale Matteo Zuppi, già arcivescovo di Bologna, un anno fa. Un faccia a faccia discreto, al riparo dai riflettori. “Un’ora di chiacchierata, a Bologna. Un incontro cordiale, semplice, sul piano amicale. Zuppi gli ha spiegato l’importanza di presentarsi come un po’ più moderato. Salvini ne ha preso atto”.

Rimane solo un dubbio: e se nel centrodestra fosse Giorgia Meloni, non Salvini, a parlare al popolo dei centristi? A nessuno è sfuggito l’attivismo della giovane leader di Fratelli d’Italia, appena nominata presidente dei Conservatori europei. “È una donna intelligente, realista – chiosa Michelini – battagliera ma non aggressiva. Ma descriverla come più moderata di Salvini è un’esagerazione. Parlano i numeri dei sondaggi. Lei oggi ha il 16%, lui il 26%. Lui può cambiare la geografia della politica italiana. È ancora l’uomo da battere”.

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