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I governi tecnici esistono solo sulla carta. Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, non esita un momento: il governo Draghi 1 “sarà politico”, con la p maiuscola.

Professore, Mario Draghi è il nome giusto per ripartire?

È il nome giusto per tre motivi. Il primo è che ha mietuto successi in Europa e noi abbiamo bisogno dell’Unione Europea. Il secondo è che ha grande esperienza di gestione (direzione generale del tesoro, Banca d’Italia, Banca centrale europea). Il terzo è che gode della fiducia dei mercati, di cui abbiamo enorme bisogno, avendo un pesante debito pubblico.

Meglio un governo tecnico o politico?

Non esistono governi tecnici, né il governo Draghi lo sarà, come non lo sono stati i governi Ciampi, Dini e Monti. I governi sono regolati dalla Costituzione che li configura come organi politico-costituzionali. La loro natura non cambia in relazione ai componenti che fanno parte della compagine governativa. Comunque, quelli che sono preoccupati dei “tecnici” al governo dovrebbero ricordare che Conte era un tecnico, che nel governo Conte 1, come nel successivo governo Conte 2 vi era un gran numero di tecnici quali ministri (se non ricordo male, sette ministri tecnici nel primo governo e altrettanti nel secondo).

Il nome “governo tecnico” in Italia rievoca l’austerity e il rigorismo. Cosa cambia questa volta? 

Non so a chi il nome governo “tecnico” rievochi il rigore nei conti. Non in ogni caso in cui si è fatto ricorso a “tecnici” per svolgere attività politica si sono perseguite politiche di rigore. E comunque, nel caso specifico, si tratta di riuscire a spendere bene 209 miliardi di euro, quindi il contrario dell’”austerity”.

Quali sono gli errori che secondo lei Draghi deve evitare?

Alla luce dell’esperienza recente, dei due governi che si sono succeduti dal 2018, direi che bisogna evitare il “decisionismo del non fare”, per ripetere l’espressione utilizzata da Lorenzo Bini Smaghi per il governo Conte.

I principali ostacoli sul percorso?

Sarebbe lungo elencare gli ostacoli. L’attività di un governo consiste nel superare ostacoli e risolvere problemi, su ognuno dei quali vi sono sempre controversie.

Da dove parte la svolta?

Dal modo in cui si è affrontata la pandemia. Non aver capito che bisognava seguire la Costituzione, secondo la quale la profilassi internazionale spetta allo Stato (di qui tutti i conflitti con le regioni). Il continuo ricorso a decreti legge e a decreti del presidente del Consiglio dei Ministri, in modo tanto disordinato da creare confusione. L’imprevidenza nella programmazione della vaccinazione di massa, che avrebbe dovuto essere affrontata molto prima. L’esclusiva attenzione posta ai ristori, senza curarsi degli investimenti. Il continuo accentrare a Palazzo Chigi ogni decisione, che ha portato a un blocco dei processi di decisione. La confusione tra fare politica, prendere decisioni e comunicare, con l’attenzione rivolta principalmente alla comunicazione.

Il centrodestra sembra diviso sul supporto a Draghi. Secondo lei un voto a favore può aiutare la Lega a riscattarsi in Europa?

Purtroppo, le scelte politiche della Lega sono state dettate da un’eccessiva attenzione ai sondaggi. Di qui il contrasto all’immigrazione e l’evocazione del timore degli stranieri; il nazionalismo antieuropeista; l’accento posto ora sul fisco. Si tratta di una “single issue politics”, oscillante in relazione agli umori elettorali e al contesto. Alla base, c’è la lunga transizione della Lega da forza legata al Nord a forza nazionale, e la difficoltà di trovare obiettivi politici autenticamente nazionali

La prima sfida si chiama Recovery Fund. In questi mesi il Parlamento è rimasto spesso in disparte. Una bicamerale è un’opzione?

Non credo che la bicamerale sia una soluzione. Il piano di ripresa ha linee direttrici che sono state fissate in sede europea. Bisogna soltanto darne una interpretazione italiana. Deve farlo un governo che abbia una linea politica, per non rimanere prigioniero di negoziazioni e mediazioni.

Il presidente Mattarella ha spiegato che un ritorno al voto oggi è da escludere. Se Draghi non dovesse riuscire, ci sarebbero alternative?

La soluzione teoricamente sarebbe quella di fare un altro tentativo, con una persona diversa e una compagine diversa. Ma di questo si può discutere soltanto quando si sarà chiusa questa fase.

Richiamando Segni, il Capo dello Stato ha fatto intendere di non volere un secondo mandato. Un messaggio a chi vuole strumentalizzare la corsa al Quirinale?

Il riferimento del presidente della Repubblica è stato molto chiaro, così come sono chiare le implicazioni.

Quale che sia la nuova maggioranza, rimane da sciogliere il nodo Giustizia. Cosa salverebbe lei della riforma Bonafede?

Per la giustizia, bisogna ricominciare da capo. I problemi sono chiari, anche se non sono stati messi a fuoco. In primo luogo, i tempi dei giudizi. In secondo luogo, l’operato delle procure. In terzo luogo, l’organizzazione e il funzionamento del ministero. In quarto luogo, un nuovo ordinamento del consiglio superiore della magistratura.

cassese

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