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Il principale scienziato nucleare iraniano, il più famoso tra i circoli dell’intelligence perché connesso al programma atomico miliare, Mohsen Fakhrizadeh, è stato ucciso venerdì pomeriggio nell’hinterland di Teheran. L’auto su cui viaggiava e quella della scorta fornitagli costantemente dai Pasdaran sono cadute in un’imboscata: dopo un’esplosione che le ha bloccate, un commando ha aperto il fuoco contro i due veicoli. Fakhrizadeh è morto durante il trasporto in ospedale.

Tre fonti statunitensi hanno detto al New York Times che l’operazione è stata condotta dal Mossad, il servizio segreto estero israeliano, specializzato in certe missioni, confermando le accuse che sono state rese pubbliche dal governo iraniano. Israele almeno dal 2018 ha indicato l’ingegnere come il principale degli obiettivi: la sua eliminazione avrebbe rallentato il programma nucleare – che probabilmente viene condotto in forma clandestina, visto che ufficialmente da diversi anni Teheran avrebbe dovuto interromperlo.

In mezzo all’ondata di indignazione tra i cittadini – fomentati anche dalle posizioni politiche più conservatrici – il presidente iraniano Hassan Rouhani ha promesso che l’Iran non lascerà la alla morte di Fakhrizadeh impunita: la reazione arriverà “al momento opportuno”, dice Rouhani, aggiungendo e che il paese “è troppo saggio per cadere nel tranello dei sionisti” (ossia gli israeliani).

Su quanto accaduto restano ancora molti lati oscuri, che probabilmente non verrano mai chiariti. Altrettanto restano dubbi sul perché dell’azione in questo momento. Israele potrebbe aver sfruttato gli ultimi mesi dell’amministrazione guidata da Donald Trump per compiere certi attacchi senza doversi giustificare troppo con il principale alleato e protettore internazionale (gli Usa). D’altronde a Trump e alla linea dura anti-Iran di Washington conviene: lasciare libera azione agli israeliani potrebbe rendere molto più complicato all’amministrazione di Joe Biden tornare indietro sul Jcpoa, l’accordo sul nucleare siglato nel 2015 dagli Usa e altri paesi per congelare il programma nucleare iraniano – accordo da cui Trump ha unilateralmente tirato fuori gli Usa.

A questo punto la domanda da porsi è quale postura adotterà Biden con l’Iran, anche alla luce di queste situazioni che si stanno creando? “Il presidente eletto democratico sostiene di voler tornare al Jcpoa, cosa che credo sarà tutt’altro che facile”, risponde a Formiche.net Annalisa Perteghella, Iran Desk dell’Ispi.

D’altronde a Washington, per quanto noto attraverso le ricostruzioni possibili da fonti e media statunitensi, esiste una doppia linea: da una parte si pensa alla possibilità del rientro degli Stati Uniti nell’accordo sotto la presidenza del democratico; dall’altra si fa avanti l’ipotesi di una negoziazione di una nuova intesa, “una sorta di Jcpoa++” come lo chiama con Formiche.net una fonte riservata, che includa non solo la questione nucleare ma anche quella complessa del comportamento regionale (il gioco di influenze velenose attraverso le milizie proxy) e quella dei missili balistici – un’opzione che sarebbe più accettata dagli alleati regionali degli Usa.

“Credo che ci sarà effettivamente un tentativo di riprendere in qualche modo i contatti con l’Iran da parte di Biden. Poi dovremo certamente vedere cosa ne può venire fuori, perché sappiamo le posizioni di partenza: Teheran chiede che gli Usa sollevino le sanzioni, Washington vuole che l’Iran sospenda tutte le attività nucleare”, continua Perteghella, che ipotizza una prima soluzione temporanea.

Una sorta di compromesso ad interim: “Un modo per costruire intanto fiducia reciproca”. Come? “Nella prima tappa gli Usa potrebbero sollevare le sanzioni sul petrolio (le più pesanti) e togliere il muslim ban contro gli iraniani, e perché no anche fornire aiuti contro il coronavirus. Dall’altra parte immagino che l’Iran risponderà fermando alcune attività nucleari”.

La soluzione temporanea è figlia anche della necessità politiche, in questo caso più iraniane: a giugno del prossimo anno si voteranno infatti le presidenziali. “Vero, però probabilmente non sarà Rouhani a negoziare questo eventuale nuovo accordo. Tuttavia è possibile che  ci sarà lo stesso un tentativo di negoziato”, aggiunge l’analista italiana. Perché? “Francamente credo che se finora l’Iran ha scelto di non reagire, e se vogliamo non ha reagito nemmeno all’assassinio del generale Soleimani, è perché aspetta che entri alla Casa Bianca Biden per poi comprendere se ci sono spazi per raggiungere qualche compromesso”.

Teheran vede l’eliminazione delle sanzioni come punto di partenza, differentemente, se Biden dovesse non accettare questo il rischio è la riapertura di una stagione violenta nella regione. “Il problema di Biden – secondo Perteghella – sarà come vendere questo eventuale negoziato ad alleati come Arabia Saudita e Israele. Vediamo che si sta ufficializzando questo asse Golfo-Israele, il quale difficilmente accetterà un allentamento sull’Iran. Dunque per Biden la grande difficoltà starà nel far comprendere la politica di contatto con la Repubblica islamica a questi alleati e soprattutto evitare che vadano da soli, come stanno dimostrando di poter fare”.

Biden fra Iran e Israele. Il punto di Perteghella (Ispi)

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