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Ad un anno dallo scoppio della pandemia sono disponibili numerosi dati per iniziare a riflettere su come si sono fronteggiate le crisi sanitaria ed economica nelle tre principali economie del mondo. È un confronto che investe sia le politiche adottate e le modalità con cui sono state attuate, sia la bontà dei sistemi di governo delle crisi in condizioni di emergenza.Non un banale confronto su chi sia stato più capace di contenere la diffusione del morbo e far ripartire l’attività economica, ma un primo esame sull’approccio di metodo che, alla prova dei fatti, è risultato più rispondente alla gravità della pandemia e più idoneo a gestirne le conseguenze per attutire l’impatto sull’economia e consentirle di riprendersi stabilmente nel minor tempo.

Considerato che tra Cina, Ue e Usa le differenze di approccio e di sistema sono state considerevoli, vi è ampio spazio per soffermarsi su alcuni aspetti che hanno contribuito maggiormente al contenimento della crisi tanto sul piano sanitario che socioeconomico. Su entrambi i versanti la situazione attuale offre un quadro chiaro: la Cina è riuscita a far regredire la diffusione del virus ed a ottenere una rapida ripresa delle attività produttive. Attualmente sono in lockdown solo alcune zone in cui sono emersi nuovi focolai ben circoscritti, mentre il resto del paese sembra aver superato la fase epidemica. In parallelo, l’attività produttiva che era crollata del 6,8% nel primo trimestre del 2020, dal secondo è rimbalzata velocemente con tassi rispettivamente del 3,2%, 4,9% e 6,5% nei successivi tre trimestri, portando la crescita annua del Pil al 2,3%, un successo che non ha pari nell’economia mondiale.

Anche se sulle statistiche cinesi non mancano i dubbi, l’animazione e la libertà di movimento che si vedono in molte città avvalorano i dati ufficiali. Di contro, in Europa i maggiori Paesi sono ancora duramente impegnati nel contenere il susseguirsi di ondate di contagi su scala nazionale, facendo ricorso a restrizioni agli spostamenti delle persone all’interno e con l’estero, blocco delle attività di importanti comparti del settore servizi e limitazioni agli orari commerciali. Nel contempo, l’impennata dell’epidemia ha messo in difficoltà le strutture sanitarie e costretto i governi a notevoli incrementi di spesa per sostenere le cure. L’andamento della produzione ha seguito quello ondeggiante dell’epidemia, con un crollo della crescita nella prima metà dell’anno scorso (-3,3% e -11,4% nell’Ue a 27) e un rimbalzo dell’11,5% nel terzo trimestre.

Per l’ultima parte dell’anno si attende un nuovo ripiegamento in concomitanza del ripristino delle restrizioni. Per l’intero anno la Commissione europea stima una decrescita del prodotto nazionale del 7,4%, seguita da una ripresa del 4,2% nell’anno corrente. Situazione ben più grave negli Usa, in cui l’epidemia è ancora in piena diffusione, il numero dei decessi è il più elevato tra i paesi e sembra che non sia stato superato il picco dei contagi. Il governo federale ha lasciato agli stati autonomia nell’adottare misure di contenimento, mentre ha limitato l’ingresso di cittadini stranieri. Ne sono seguite una disparità di restrizioni tra aree e limitate fluttuazioni nella curva dei contagi, che ha mantenuto finora una preoccupante traiettoria ascendente.

L’attività economica ha risentito dell’effetto delle restrizioni relativamente meno dell’Europa, in quanto sono state applicate difformemente e con discontinuità maggiore, ma il protrarsi della pandemia potrebbe prolungare il calo delle attività fino a quando la vaccinazione non avrà raggiunto la maggioranza della popolazione. La crescita economica, di riflesso, ha conosciuto un ripiegamento dell’1,3 e 9% rispettivamente nei primi due trimestri dell’anno, una ripresa del 7,5% nel terzo, con una previsione dell’Ocse di un decremento di circa 3,7% per l’anno e un recupero del 3,2% nel 2021.
Alla base della divergenza di andamenti fra le tre aree sta essenzialmente la diversità di approccio alla pandemia e la risposta di politica economica.

Sul piano epidemiologico, molti indizi inducono a ritenere che la Cina ha tardato a identificare l’emergere del Covid-19, a dare notizia della sua pericolosità e a prendere le misure necessarie per controllarne la diffusione. Quando il governo centrale si è reso conto della rapidità e letalità dell’epidemia ha, tuttavia, assunto misure draconiane di blocco dei movimenti della popolazione nelle aree interessate, ha investito senza indugi e massicciamente nel potenziamento delle strutture sanitarie ed applicato regole severe per la prevenzione. Ha quindi sottoposto i cittadini a test generalizzati e ripetuti, ed imposto loro mezzi di tracciamento degli spostamenti onde poter ricostruire i contatti con persone risultate positive al virus.

Analisi dettagliate confermano che il movimento delle persone dalle aree inizialmente infette è risultato determinante nel propagare il virus.  Queste misure sono state applicate con severità a tutto il paese, senza lasciare alcuno spazio di divergenza alle autorità locali. Si è puntato a limitare le restrizioni alle specifiche aree focolaio del virus per non perturbare le attività in quelle indenni; a tal fine si è fatto leva sull’infrastruttura digitale, sul tracciamento della mobilità, sull’analisi di big data e sul testing di massa. Con gli stessi strumenti si è potuto decidere l’uscita graduale e localizzata dalle restrizioni per prevenire il risorgere dell’epidemia.

L’approccio ha funzionato secondo le attese, consentendo di accorciare i tempi per il ritorno alla normalità nelle attività. Con questo approccio si è, pertanto, dimostrata l’importanza cruciale di alcuni fattori: primo, adottare una gestione dell’emergenza affidata esclusivamente al governo centrale senza dare spazio a deviazioni a livello locale; secondo, avvalersi delle nuove tecnologie digitali per gestire il delicato bilanciamento tra le restrizioni in alcune aree o settori e il ripristino delle attività in altri; terzo, applicare il necessario rigore nel controllo dei focolai per estinguerli e prevenire il loro riaccendersi, col risultato di ridurre i tempi di uscita dalla epidemia; e quarto, investire massicciamente e con rapidità nel potenziamento delle strutture sanitarie e della ricerca medica.

Gli stessi fattori non si riscontrano se non parzialmente nell’esperienza europea. Le differenze di approccio sono emerse tanto tra i paesi dell’Ue, quanto all’interno dei maggiori. In Francia, Germania, Italia, e anche nel Regno Unito, i provvedimenti del governo centrale per contrastare l’epidemia hanno incontrato resistenze e contestazioni ai livelli regionale e locale, con l’effetto di ritardare l’adozione di stringenti misure e di consentire allentamenti prematuri ed eccezioni.

L’applicazione di misure preventive, quali il distanziamento e l’uso delle mascherine, non è stato monitorato adeguatamente, né l’inosservanza sanzionata col dovuto rigore. Il tracciamento dei contatti delle persone contagiate è risultato inadeguato sia per un malinteso rispetto della privacy, sia per il limitato ricorso alle tecnologie digitali. Si è lasciato spazio alla diffusione di notizie infondate sulla mancata gravità del virus, sull’inutilità delle prescrizioni a scopi preventivi e su fantomatiche terapie.

Nel caso italiano vanno aggiunti l’insufficienza dell’assistenza medica a domicilio e del testing della popolazione, la disorganizzazione della sanità a livello territoriale e le carenze nell’infrastruttura digitale e nelle capacità di utilizzo. Ne è seguito l’abbandono del tracciamento dei contagi e una sorta di navigazione a corto raggio nel disporre allentamenti o irrigidimenti delle restrizioni, nel senso di basarli sull’andamento dei contagi nelle ultime settimane, senza avere una conoscenza sufficiente dell’effettiva estensione e delle tendenze dell’epidemia, in particolare dei soggetti asintomatici in grado di diffondere il virus.Di conseguenza, le prescrizioni per il contenimento sono state allentate senza riuscire a prevenire l’insorgere di una nuova ondata di contagi e di nuove restrizioni, con un susseguirsi di fasi alterne che hanno prolungato i tempi di uscita dalla crisi e mantenuto grande incertezza tra la popolazione. Il bilanciamento tra rigore ed allentamento, facendo distinzioni su base regionale, non ha dato i frutti sperati perché attualmente gran parte del territorio è considerato zona a rischio medio o alto. Né conforta il fatto che nuove, gravi ondate epidemiche abbiano interessato anche i maggiori paesi europei e perfino la Svezia, il cui governo non riteneva necessarie rigorose restrizioni e ha contato sulla prevenzione volontaria.

Di positivo sono, invece, i notevoli investimenti degli stessi paesi nelle strutture ed assistenza sanitarie, e nel potenziare la ricerca di vaccini e terapie. Ancor più gravi sono le debolezze dell’approccio del governo americano che per ragioni ideologiche e di opportunità politica non ha adottato una strategia adeguata e minimizzato la gravità dell’epidemia. Inizialmente ha disposto un lockdown temporaneo a livello federale e successivamente lasciato agli stati la responsabilità della gestione della crisi nel loro territorio, con la conseguenza di divari di restrizioni e misure di prevenzione. L’insufficienza del testing e delle strutture sanitarie pubbliche insieme alla libertà di movimento delle persone ha condotto a un incremento esponenziale di contagi e decessi, che denota una perdita di controllo della pandemia. In parte si è contato sulla costosa sanità privata e sul finanziamento della ricerca delle imprese farmaceutiche per sviluppare i vaccini, di fatto accentuando le disparità di trattamento tra pazienti sulla base del loro censo.

Sul piano economico vi è stata, invece, una sostanziale convergenza di orientamento e di strumenti fra le tre aree, ma con differenze nel sostegno dei redditi delle persone e delle imprese colpite dalle restrizioni, nella destinazione delle risorse pubbliche e nel programmare la ripresa delle produzioni. La convergenza è evidente nelle politiche macroeconomiche: ampliamenti della spesa pubblica, in particolare per elargizioni a famiglie ed imprese, per spese sanitarie e di ricerca medica, straordinario allargamento del credito e abbassamento dei tassi d’interesse su livelli storicamente minimi. Le differenze si ritrovano nell’intensità del sostegno finanziario, negli incrementi di spesa pubblica in disavanzo, nella quantità di liquidità immessa nel sistema, nelle riforme e in alcuni interventi innovativi.

In Cina, il governo ha proseguito nelle riforme del sistema finanziario e del mercato del lavoro, ma non delle imprese statali; si è puntato sull’investimento in infrastrutture e sullo stimolo al comparto dell’edilizia, oltre che sulla ricerca e l’industria medicale, e sono stati attenuati i vincoli agli investimenti esteri. Lo stimolo del credito facile è stato colto dalle imprese private con nuovi investimenti e maggiore indebitamento.

In Europa, si è fatto ampio ricorso al sostegno dei consumi, alle misure assistenziali, all’alleggerimento degli oneri fiscali, e a nuovi stimoli a ricerca ed innovazione. Per la parte investimenti si è lanciato per i prossimi anni un grande piano di finanziamenti a carico dell’Ue per nuove infrastrutture, la digitalizzazione, l’economia verde e le riforme strutturali. Su questi fattori poggia la strategia di rilancio della crescita dopo la recessione. In Italia, inoltre, si è sviluppata l’azione di sostegno attraverso l’allargamento della partecipazione pubblica nel capitale delle imprese.

Negli Usa il supporto del governo ai redditi e alle imprese non è stato così massiccio come in Europa, né si è impostata una strategia di rilancio dell’economia nel dopo-pandemia, mentre è toccato alla banca centrale supplire al limitato impiego della politica di bilancio. Questo orientamento è destinato a cambiare in poco tempo con l’insediamento dell’amministrazione Biden e il suo orientamento verso grandi programmi di spesa federale.

Nell’insieme, l’approccio della Cina si è dimostrato il più adeguato a frenare la pandemia ed innescare la ripresa economica, mentre comparativamente l’Europa ha fornito più assistenza ai segmenti della popolazione e del sistema impresa più vulnerabili, ed ha saputo rilanciare il ruolo e l’impegno dei governi in una strategia pluriennale per una crescita sostenuta. Per l’Italia sono da trarre importanti lezioni: è necessario riportare al centro le responsabilità di governo in settori vitali, quali sanità, energia, grandi infrastrutture ed istruzione; applicare il rigore dovuto nelle politiche cruciali; destinare maggiori risorse all’avanzamento tecnologico del Paese, a ricerca ed innovazione, e a istruzione e formazione; e principalmente, meno assistenzialismo e più investimenti produttivi.

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