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Meglio pensarci due volte. Il caos a Washington DC, reduce da un assalto semi-golpista al Congresso americano senza precedenti nella storia, rischia di disinnescare un’altra crisi, quella in corso a Roma, con il governo Conte-bis appeso a un filo ormai da un mese. È davvero questo il momento di un salto nel buio? Se lo chiede Stefano Ceccanti, deputato e costituzionalista del Pd, presidente del Comitato per la legislazione. Chi crede di terremotare il governo per fare colpo su Joe Biden ha fatto male i conti, dice. Ora la priorità è “raccogliere l’appello ai costruttori di Sergio Mattarella” e “vaccinare” il Parlamento dai “decreti Minotauro”.

Ceccanti, c’è una lezione dal caos americano per la crisi italiana?

Si tratta di un ulteriore elemento di turbativa che nelle sue forme più gravi scomparirà a breve, ma con alcuni elementi di preoccupazione per le polarizzazioni interne a quel Paese (economico-sociale, razziale, politica) che dovrebbero indurre alla prudenza. Un conto è che ciascuno, dentro la maggioranza di Governo, si batta per alcune esigenze di policies, sulle politiche specifiche, un altro è mettere in questione la tenuta della maggioranza, il quadro di politics, senza avere un’alternativa chiara, credibile e immediata. Se alle turbative esterne ne aggiungiamo una interna c’è il rischio di una deriva solo negativa per tutti.

L’appello ai costruttori di Mattarella sembra caduto nel vuoto con l’anno nuovo. È il momento di recuperarlo?

Direi proprio di sì. Anzitutto costruire nella maggioranza, migliorando le policies, sapendo che si tratta di un esperimento difficile, ma appunto perché difficile che non può essere abbandonato dopo poco più di un anno, prima che si arrivi alla scadenza decisiva della legislatura, la messa in sicurezza della presidenza della Repubblica in chiave di garanzia europeista, quella che ha fatto reggere al Paese il trauma del primo governo della legislatura, a cominciare dal veto del presidente Mattarella al ministro Savona, autore di un piano di uscita surrettizia dall’euro che violava il vincolo costituzionale esplicito

Quale?

La nostra appartenenza all’Ue. Non un vincolo qualsiasi, ma un perno della nostra Costituzione. La nostra forma di governo è parlamentare ma a correttivo presidenziale. A causa della debolezza delle maggioranze il governo tende a poggiare molto e molto spesso sul pilastro presidenziale. Per questo va tenuta ferma quella scadenza come passaggio decisivo della legislatura con una convergenza che può andare anche oltre la maggioranza di governo, ma la sua tenuta di partenza è assolutamente necessaria.

Questo governo nasce con un importante endorsement di Donald Trump. Non è un po’ tardi per riscoprirsi Bideniani?

A me era parso che l’endorsment convinto fosse al Governo precedente..

L’avvento dell’era Trump, quattro anni fa, è stato salutato con favore da buona parte dei Cinque Stelle. Ora ci governate insieme, e qualcuno nel suo partito vuole farci un’alleanza organica. Sono cambiati loro o siete cambiati voi?

Guardi, il governo è nato dopo il voto del M5S al Parlamento europeo a favore della nuova Commissione. Il M5s era partito in un gruppo con Farage e sta discutendo se entrare nel gruppo dei Socialisti e Democratici, ossia il nostro. Non ho capito cosa ci gioverebbe ricordare il passato invece che valorizzare il percorso. Poi se l’alleanza sarà organica o no dipenderà dalla valutazione che faremo alla fine sull’esperimento di governo e che ognuno farà sull’evoluzione dell’altro. Se la giudicheremo entrambi positiva sarà riproposta, altrimenti no. Non ci sono esiti predeterminati. Ma ci dobbiamo dare un tempo ragionevole per poterla valutare.

Il più bideniano di tutti al governo, Matteo Renzi, sembra volerlo tirare giù…

Penso che il 20 gennaio quando si insedierà alla Casa Bianca Biden vedrà come bideniani coloro che risolvono le questioni aperte a casa loro e non che le creano senza indicare soluzioni. Le questioni si possono sollevare legittimamente anche con forza, dopo di che, a seconda di come si agisce, ciascuna forza politica può essere a sua volta parte del problema o della soluzione. Mi auguro che tutte le forze della maggioranza si pongano come parti della soluzione.

È davvero così irrealistico un ritorno al voto? Dal Quirinale fanno sapere che non è un’ipotesi da scartare.

Non è questione di realismo o meno. Lo ritengo uno scenario da evitare perché significherebbe che la maggioranza si sarebbe suicidata, che non potrebbe andare unita al voto e che, così facendo, consegnerebbe con tutta probabilità a una destra antieuropea non solo Palazzo Chigi, ma anche il Quirinale. Dopo di che è evidente che le forze di maggioranza non possono chiedere al presidente della Repubblica di tenere in piedi la legislatura distruggendo un Governo senza riuscire a proporne un altro realmente operativo.

Lei crede alla possibilità di un governo di larghe intese, magari con Mario Draghi?

Non c’è un’altra maggioranza. Il destracentro, egemonizzato da posizioni antieuropeiste non si divide.

Sono passati quattro mesi dal referendum sul taglio dei Parlamentari e ancora non c’è un accordo sulla legge elettorale. Eppure il Pd aveva detto che era un correttivo fondamentale…

Se per questo c’è anche il problema di riforme costituzionali di accompagnamento perché la legge elettorale non può essere caricata da sola di aspettative salvifiche. Penso che l’esigenza vada rilanciata e che sarà più facile farlo quando si capirà se effettivamente l’esperimento attuale funziona e se quindi si sta o meno stabilizzando un nuovo bipolarismo, in cui il polo alternativo al destracentro si sia sviluppato come effettivamente e coerentemente coeso, come aveva fatto sperare il voto iniziale alla Commissione europea che consentì la formazione del nuovo Governo.

Il presidente Conte ha fatto un passo indietro sul Recovery Plan. È sufficiente?

Mi sembra che le posizioni si siano obiettivamente avvicinate.

In queste settimane si sono levate critiche, anche dal Pd, sull’autonomia del ministro Gualtieri nella gestione del piano. C’è del vero?

Il Pd esprime il ministro dell’economia e ha espresso a suo tempo anche quello che oggi è un importante esponente della Commissione europea, Gentiloni. Difficile pensare che quello che concordano Gualtieri e Gentiloni vada contro i desiderata del Pd.

Commissari, task force, gestione verticista della crisi, dpcm, quest’anno il Parlamento è rimasto un passo indietro. Come si può recuperare?

Evitiamo di mettere insieme tutto. La polemica sui dpcm è ampiamente infondata: non si può fare a meno di strumenti agili dal punto di vista della durata nel tempo e neanche di alcune gestioni commissariali, ferma la valutazione puntuale delle decisioni. Il nodo centrale è invece il lavoro del Parlamento. Anche le Camere devono vaccinarsi per poter tornare alla normalità. Vaccinarsi significa che, dopo l’ondata dei decreti natalizi e post-natalizi va messo un punto fermo al fenomeno dei cosiddetti decreti minotauro, cioè a quella prassi per cui invece di convertirli in legge uno per uno, in una sequenza ordinata, uno ne mangia altri. Ne risultano due conseguenze assolutamente negative.

Ovvero?

La prima è che il cittadino non capisce più granché nella successione delle norme. La seconda è che si restringono i tempi per l’esame parlamentare perché quello entrato in vigore per primo e che mangia gli altri può essere solo modificato dalla prima Camera e ratificato dalla seconda. È quasi un anno che vige questo monocameralismo di fatto che ha come una delle cause principale i decreti minotauro. Passata quest’ondata bisogna porre seriamente un argine, deve essere chiaro che ci vacciniamo dalla malattia del minotauro e che è un’esperienza da dichiarare conclusa.

Anche su dossier delicati come l’intelligence Conte rivendica una sua autonomia. Lei che idea si è fatto sulla delega?

È comprensibile la richiesta che vi sia una persona completamente dedicata a questo, in un periodo di turbolenze. È altrettanto ovvio che ci debba essere un’armonia condivisa tra delegante e delegato.

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