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Il presidente del Consiglio prof. avv. Giuseppe Conte è probabilmente molto stanco perché – speriamo senza accorgersene – è il primo nella sua carica, e nella storia della Repubblica, ad offendere tre milioni e duecento cinquantamila dipendenti pubblici, il 15% dell’occupazione totale. Fornisce, così, loro una ragione per essere oggi 9 dicembre in sciopero.

Su Il Corriere della Sera di ieri 8 dicembre in terza pagina, vengono riportate sue dichiarazioni secondo cui la ragione per creare una maxistruttura per la gestione della Resilience and Recovery Facility risiede nel fatto che l’Unione europea “non si fida dei nostri burocrati”. Il suo solerte portavoce e i suoi numerosi assistenti non si sono affrettati a smentire il lungo servizio e le estese dichiarazioni. Tanto più straordinarie perché ove fosse un buon manager, pure durante una crisi di nervi, il suo primo compito dovrebbe essere quello di difendere i propri collaboratori (i dipendenti pubblici) da accuse ed illazioni da parte di funzionari stranieri.

Nella mia carriera, dopo avere passato diciotto anni in Banca mondiale (entrato a 26 anni tramite un concorso per sette posti) dove dirigevo una divisione responsabile per un settore in 22 Paesi già all’età di 31 anni, sono entrato nel pubblico impiego per nomina del Consiglio dei ministri. Ho lavorato come dirigente generale in due ministeri, con due interruzioni di sei anni complessivi, per servire in due agenzie specializzate delle Nazioni Unite, e per diversi anni come coordinatore del settore economico della Scuola Nazionale d’Amministrazione (Sna). A mio giudizio, la funzione pubblica (se si eccettua la conoscenza delle lingue – campo che comunque non pare essere il forte di Giuseppe Conte) non ha mediamente una professionalità inferiore a quella delle due agenzie specializzate delle Nazioni Unite di cui ho avuto esperienza diretta. Negli ultimi vent’anni, tramite la Sna, sono stati immessi centinaia giovani dirigenti di valore, nessuno dei quali aveva il proprio docente e socio di studio nella commissione di concorso.

È vero che a pensare male si fa peccato. Le dichiarazioni, se non smentite, sembrano essere un pretesto per una maxi struttura composta non di persone che hanno giurato fedeltà alla Repubblica ed alla Costituzione, quale che siano i governi transeunti, ma da chierici vaganti, suffragette, movimentisti di varie tendenze, scelti per chiamata diretta senza evidenza pubblica in modo che quando o per logorio e per altri motivi, si lascia il Palazzo, si possa mantenere un buon nesso con la Resilience and Recovery Facility.

Bell’esempio per le prossime generazioni a cui la Facility è diretta.

 

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Su Il Corriere della Sera di ieri vengono riportate dichiarazioni del premier secondo cui la ragione per creare una maxistruttura per la gestione della Resilience and Recovery Facility risiede nel fatto che l’Unione europea “non si fida dei nostri burocrati”. Il corsivo di Giuseppe Pennisi

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