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Non c’è dubbio alcuno che la componentistica made-in-China ricopra un ruolo privilegiato nell’Oboronno-Promyshlennyy Kompleks, nome con cui gli stessi russi indicano il proprio apparato industriale-militare. La progressiva esclusione della Russia dalla rete commerciale occidentale avviata nel 2014 attraverso l’imposizione di molteplici pacchetti di sanzioni ha infatti spinto Mosca sia a cercare di penetrare (talvolta con successo) il muro eretto dall’Occidente, sia a cercare fornitori alternativi per ottenere la componentistica di macchine ed equipaggiamenti necessari allo sforzo bellico. Un ruolo per cui Pechino sembra essere naturalmente adatta, per il combinato disposto del know-how di cui il Paese dispone nell’ambito tecnologico e, soprattutto, della sua più o meno di comodo vicinanza politica al Cremlino (su cui si è espresso piuttosto di recente il ministro degli esteri cinese Wang Yi.

Già in passato l’Ucraina aveva diffuso notizie relative al recupero di materiale militare russo contenente al suo interno componentistica cinese, come nel caso dei droni prodotti dalla Aero-Hit di Khabarovsk o del drone V2U, che utilizza un sistema di guida AI-based cinese. Ma adesso la situazione sembra aver raggiunto un nuovo livello, dopo che il Gur (Golovne upravlìnnâ rozvìdki Mìnìsterstva oboroni Ukraïni, il servizio di intelligence militare del governo ucraino noto in inglese come Defense Intelligence Directorate) ha annunciato per la prima volta il ritrovamento di un drone con il 100% dei suoi componenti fabbricati in Cina. Secondo quanto riferito dal servizio ucraino, il drone in questione sarebbe un drone-esca (capace però di trasportare 15 kg di esplosivo nella testata) con una sagoma triangolare molto simile a quella degli Shahed-136, ma con dimensioni decisamente ridotte rispetto a quest’ultimo.

Nel drone in questione, recuperato assieme ad un altro che conteneva due componenti di origine sconosciuta, quasi la metà dei componenti (tra cui un controller di volo con pilota automatico, moduli di navigazione e antenne, nonché un sensore di velocità aerodinamica con tubo pilota) proviene da una singola azienda cinese, la Cuav Technology. Nell’Ottobre del 2022 l’azienda aveva dichiarato la sospensione nell’invio dei suoi prodotti ad Ucraina e Russia, per evitare un loro utilizzo in ambito militare. Tuttavia, l’anno successivo Mosca ha presentato un Unmanned Aerial System a decollo verticale che, stando a quanto nota lo stesso Gur, è in realtà un prodotto di Cuav Tehcnology liberamente acquistabile su Aliexpress.

Pur non raggiungendo il livello dell’assistenza diretta, che con molta probabilità andrebbe a causare conseguenze tutt’altro che desiderabili per Pechino, il sostegno cinese a Mosca sin dall’inizio del conflitto in Ucraina nel febbraio del 2022 (pochi giorni dopo che il presidente russo Vladimir Putin e quello cinese Xi Jinping avevano suggellato la cosiddetta “Amicizia senza limiti” tra i due Paesi) si è esplicitato in una molteplicità di forme, dal fornire vecchi macchinari industriali di manifattura occidentale all’invio di materiale dual-use, arrivando a tentativi di evasione delle sanzioni occidentali attraverso il sistema della triangolazione.

L’episodio del drone “russo fuori e cinese dentro” rappresenta un’occasione di riflessione sull’integrazione dell’apparato militare russo con l’economia cinese. Da una parte, infatti, Mosca ottiene accesso diretto a componenti tecnologiche necessarie al suo sforzo bellico, componenti che potenzialmente potrebbe cercare di replicare domesticamente nel medio-lungo periodo; dall’altra, rimane strettamente vincolata a Pechino nel breve-medio periodo (almeno fino alla fine del conflitto e nel periodo immediatamente successivo), una situazione che Zongnanhai potrebbe decidere di sfruttare per cercare di rafforzare lo status di “dipendenza” russa, dentro e fuori dall’ambito militare.

(Immagine presa dal sito del Gur)

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