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“La questione Hong Kong è passata in secondo piano nel disinteresse generale, un po’ per il coronavirus un po’ per interessi di altro tipo. E adesso, come spesso accade nelle dittature, si può procedere all’arresto degli oppositori nell’indifferenza”. A parlare è Paolo Romani, ex senatore di Forza Italia, oggi nel Misto e uomo di punta della formazione di Cambiamo! di Giovanni Toti. Romani, membro della commissione Esteri del Senato fino al 22 luglio e da quel giorno nella commissione Difesa, commenta a Formiche.net la notizia di politica estera del giorno: la polizia di Hong Kong ha arrestato per qualche ora Joshua Wong, ventitreenne attivista pro democrazia.

L’Italia dovrebbe fare di più su Hong Kong?

L’Italia è inesistente in politica estera, su qualsiasi scenario. Ho l’impressione che ci siamo dimenticati perfino di essere un Paese del G7.

Come mai?

Penso che alla Farnesina abbiano disimparato a studiare la storia e la geografia. Ogni tanto bisognerebbe fornire ai ministri che passano di lì una cartina geografica e fargli capire com’è fatto quantomeno il Mediterraneo. Inoltre, c’è una drammatica carenza nell’utilizzo dello strumento militare: se avessimo fatto passare due AV-8 sulle posizioni di Haftar minacciando di bombardarlo se avesse continuato l’avanzata, avremmo evitato l’intervento turco, non avremmo sparato un colpo e avremmo ottenuto lo stesso risultato.

E l’articolo 11 della Costituzione?

Ci dichiariamo sempre contro la guerra anche se poi ne abbiamo fatte in questi anni, ma sembra non se ne sia accorto nessuno. Con questa posizione ideologica stupida abbiamo perso un’altra drammatica occasione dopo quella in Siria.

Oggi Lia Quartapelle, capogruppo del Partito democratico in commissione Esteri, ha annunciato a Formiche.net la presentazione di una mozione per chiedere al governo italiano di impegnarsi nel non legittimare Aleksander Lukashenko. È la strada giusta?

Sulle rivoluzioni nei Paesi orientali qualche errore a mio avviso è stato anche fatto. La storia ucraina non è stata scritta esattamente per come noi l’abbiamo percepita. Piazza Maidan ha rappresentato una rivoluzione cosiddetta democratica contro un potere ottuso e probabilmente anche corrotto. Ma dopo la caduta del Muro qualche attenzione e qualche rispetto nei confronti di quella che è la geopolitica, ovvero anche gli interessi della Russia successivi allo smantellamento dell’Unione sovietica e del suo sistema di potere, potevano essere curati. Aver pensato che l’Ucraina entrasse in orbita dall’Unione europea e della Nato senza i dovuti passaggi e aver affrettato questo processo è stato un errore da parte delle cancelliere occidentali, non so quanto consapevolmente o inconsapevolmente.

È un ragionamento che applicherebbe anche alla Bielorussia?

La Bielorussia ha sicuramente un regime non democratico e una vasta area di opposizione ancora tutta da capire ma che si sta manifestando con grande coraggio. Ma anche lì bisogna capire i processi, la storia, il Paese. Affrettare decisioni e prese di posizione alle volte può diventare pericoloso.

Come bisognerebbe agire quindi?

Serve ricordarsi che uno dei protagonisti dell’equilibrio è la Russia. Se ci occupassimo della Bielorussia escludendo la Russia faremmo ancora una volta un errore clamoroso e fondamentale. Anche Vladimir Putin (il presidente russo, ndr) probabilmente è in grande imbarazzo per Lukashenko. Ma per un interesse geostrategico è obbligato a difendere quello che sembra essere l’ultimo dittatore d’Europa.

Facciamo un passo indietro. Lei lamenta che la politica estera sia sparita dai radar in Italia.

Penso che la politica estera debba tornare al centro degli interessi del Paese e della classe politica. Non avere una politica estera in un mondo multipolare è un suicidio politico. Spendiamo 30 miliardi per le forze armate ma le usiamo per portare i banchi nelle scuola: mi sembra un’autentica follia. In passato qualcuno ha dimostrato di volere e potere utilizzare questo strumento militare: ricordo che Massimo D’Alema nel 1999 attaccò la Serbia per difendere il Kosovo senza avvertire il Parlamento. Ma la politica estera dev’essere una politica anche di difesa degli interessi nazionale, che si difendono anche, per esempio, mandano le fregate a largo di Cipro, invece di fare le manovre un giorno con la Turchia l’altro con la Grecia. Si devono fare delle scelte e si deve aver coraggio di quelle scelte: siamo ancora un grande Paese del G7 e siamo l’unico che non ha una politica estera.

E nello specifico del centrodestra? C’è una visione comune della politica estera?

Sembra che si vada un po’ in ordine sparso. Purtroppo non c’è la cultura in questo Paese, in Parlamento e nella classe politica della politica estera. Con i governi democristiani della Prima repubblica noi eravamo sotto l’ombrello della Nato quindi allora era assolutamente indifferente chi facesse il ministro degli Esteri tanto sapevamo che quando dovevamo partecipare a qualche consesso internazionale, in Europa e nella Nato, ci sentiamo tranquilli e protetti. Oggi che invece non è più così bisogna avere una politica autonoma e per avercele bisogna avere relazioni, conoscere, studiare, avere anche un po’ di coraggio. E questo a mio avviso spessissimo manca: avere la cultura anche per difendere gli interessi nazionali, che si difendono spesso e volentieri usando argomenti che non sono soltanto quelli della mediazione, della pace e dell’utilizzo di organismi internazionali.

Chi tace è complice. L'appello di Romani (Cambiamo) per Hong Kong

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