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In un torrido pomeriggio di fine agosto, senza preavviso, un blindato delle forze speciali venezuelane, il Conas, si ferma di fronte a una stradina di Leherias, nello Stato a Nord-Est di Anzoategui. Scendono sei uomini, imbavagliati e armati di fucili d’assalto. Prelevano senza dare spiegazioni una donna di sessant’anni, Nidia Cuartin, giudice della Corte suprema in pensione. È la madre di Armando Armas, presidente della Commissione Esteri del Parlamento venezuelano riconosciuto dal governo di Juan Guaidò, un oppositore politico, in esilio. Viene rilasciata solo in tarda serata, dopo un lungo interrogatorio.

Sembra un pomeriggio di straordinaria follia, ma nel Venezuela di Nicolas Maduro è ordinaria amministrazione, spiega a Formiche.net Mariela Magallanes, deputata venezuelana in esilio, portata in Italia a dicembre come rifugiata politica insieme a un collega, Americo De Grazia, grazie alla mediazione dell’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini. Armas, 39 anni, avvocato, primissima fila dell’opposizione democratica e vicinissimo a Guaidò, è in questi giorni in Italia, in visita ad alcuni parenti. Anche per questo Roma non può restare indifferente.

Magallanes, sono davvero scene ordinarie?

Mentirei se dicessi il contrario. Ne abbiamo viste tante, ma dovrebbe suonare davvero un campanello d’allarme. Nidia Cuartin è una donna forte, di grande moralità, una donna che si batte per i diritti e i più deboli, un magistrato. Il modus operandi è tristemente noto.

Cioè?

Il Conas è una delle forze speciali del regime, una pedina fondamentale della repressione, usata per questi atti di abuso di potere. Fanno così. Vanno a casa dei famigliari di un dissidente in esilio o in fuga. Trattengono i parenti, li minacciano, lo provocano affinché si presenti. Poi lo arrestano. È successo con il deputato Nickmer Evans, un dissidente del chavismo: sono andati a casa da sua moglie, dai figli. Quando è tornato, lo hanno messo in galera, dove è da 40 giorni a far compagnia ad altri 400 prigionieri politici.

Quanti sono i deputati in esilio?

Ad oggi siamo in 34. Senza contare i tanti ricercati in Venezuela.

Armas è all’estero da un bel po’, una presenza frequente in Italia. Perché arrestare la madre ora?

Ci ha colpito il tempismo, ma in fondo non dovrebbe. Il giorno prima il Sebìn (i Servizi di intelligence di Maduro, ndr) ha scarcerato il deputato Juan Requesens. Un finto atto di clemenza. A quel ragazzo hanno tolto due anni di vita, accusandolo di un presunto attentato contro Maduro senza prove. Il regime libera oppositori in vista delle finte elezioni di dicembre, una farsa elettorale. Dicono di volerne liberare altri cento: speriamo sia vero, ma sappiamo che sono solo moneta di scambio. E la repressione è come una molla, torna subito dopo.

Crede che l’Italia debba dire una parola?

Certo che dovrebbe, non solo su questo. Pochi giorni fa, il console generale del regime a Milano, Gian Carlo de Martino, ha chiesto di mettere una taglia sulla testa di Julio Borges, ex presidente dell’Assemblea nazionale, e su tutti i prigionieri politici in esilio. Una minaccia di morte, sul suolo italiano. Abbiamo chiesto al ministro degli Esteri Luigi Di Maio di revocargli le credenziali diplomatiche.

Cosa ha risposto?

Stiamo attendendo. Il senatore Adolfo Urso ci ha aiutato con un’interrogazione parlamentare. Siamo venuti qui come rifugiati politici perché la nostra sicurezza è a rischio in Venezuela, e non siamo al sicuro nemmeno qui, in Italia.

La Santa Sede può fare qualcosa per intervenire?

Papa Francesco ci assicura le sue preghiere. Abbiamo bisogno di qualcosa di più. Una presa di posizione chiara a difesa del popolo venezuelano. È un popolo credente, con una Chiesa preoccupata, che si sente abbandonato, dimenticato. Il papa può spezzare questo silenzio.

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