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In epoca di Magistratopoli e di Palamaragate, ho voluto porre a Thierry Cretin, l’ex Pm francese e direttore delle indagini dell’Olaf, l’Ufficio Europeo per la Lotta alla Frode, alcune domande sulla magistratura italiana e sul suo ricordo del primo direttore generale dell’Olaf, il procuratore bavarese Franz-Hermann Bruener. Seppure oggi in pensione, Cretin non ha infatti abbandonato lo studio e le riflessioni sui temi della giustizia e della lotta alla criminalità ed alle mafie. Che coltiva assieme alla caccia, il suo giardino e la costruzione di coltelli artigianali.

Nel 1995, in Francia, come Pubblico ministero chiese ed ottenne la condanna per corruzione del potente sindaco gollista di Lione, e candidato alla presidenza della repubblica, Michel Noir. È stato il braccio destro operativo fino alla sua morte, del compianto procuratore bavarese Franz-Hermann Bruener.

Cosa ne pensa della separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudici?

Questa separazione è cruciale. I giudici e i pubblici ministeri non fanno lo stesso lavoro. Indagare, perseguire, non è giudicare. Ci vuole una trilogia perché ci sia un vero processo penale: un pubblico ministero che persegue, un avvocato che difende e infine un giudice che apprezza i meriti degli argomenti degli altri.

E qual è la differenza?

C’è una differenza di natura in ciascuno dei tre ruoli. Se il pubblico ministero persegue questa o quella persona in un caso, agisce solo in nome dello Stato di diritto. La sua missione riflette la volontà del legislatore e partecipa alla tutela della Repubblica (in Francia e in Italia). L’avvocato non difende un interesse generale, ma il suo ruolo è essenziale in una democrazia in cui uno dei valori è il rispetto dei diritti umani. Infine, il giudice decide sulla base degli elementi che gli vengono presentati e in nome dei principi dello Stato di diritto. La sua decisione deve essere impugnabile.

E l’indipendenza del Pm?

Tutti questi ruoli devono essere ricoperti con rigore, serietà e professionalità ma soprattutto con indipendenza, cioè a seconda del contenuto del fascicolo, delle leggi applicabili ma mai in funzione di considerazioni personali, di parte o dogmatiche, altrimenti il ​​termine stesso di giustizia perde il suo significato e l’istituzione giudiziaria perde il suo credito presso i cittadini.

Lei è stato uno stretto collaboratore del primo direttore generale dell’Olaf, il procuratore tedesco Franz-Hermann Bruener, come lo ricorda?

Oltre ai miei doveri di direttore delle indagini presso l’Olaf, avevo uno stretto rapporto professionale con Franz-Hermann Bruener, basato sul nostro comune passato di pubblici ministeri. Entrambi avevamo avuto la responsabilità, nei nostri rispettivi Paesi, di indagare casi importanti e rappresentare l’accusa in casi di grave corruzione che coinvolgevano personalità di spicco. Lui, ad esempio, nel processo all’ex leader della DDR Erich Honecker. Abbiamo anche avuto esperienze nello stabilire lo Stato di diritto in Europa e come tali ci siamo riconosciuti a vicenda. Ci siamo capiti bene e devo dire che avevo profondo rispetto e stima per il magistrato che non aveva mai smesso di essere.

Ma non ha sempre avuto vita facile all’Olaf.

Posso testimoniare che i suoi compiti di direttore generale dell’Olaf lo hanno messo in situazioni istituzionali complesse e che, nonostante le tempeste che ha attraversato, è sempre rimasto spinto dal desiderio di essere obiettivo, equo e indipendente. Aveva una vera forza di carattere e sapeva come mantenere la rotta.

È vero che Bruener al suo arrivo all’Olaf era un grande estimatore della magistratura italiana?

Durante le nostre missioni all’estero o durante i nostri debriefing, abbiamo spesso discusso del livello di cooperazione sviluppato con i diversi Stati membri dell’Ue. È certo che Franz-Hermann Bruener considerava i suoi colleghi procuratori italiani come veri partner. Aveva notato l’entusiasmo di molti di loro per indagare sulle frodi ai danni del bilancio dell’Ue. Lo vedeva come una speranza per l’avvio e l’approfondimento, sotto l’egida dell’Olaf, di un’autentica politica europea antifrode. Ai suoi occhi, era un esempio da seguire. Diversi casi di collaborazione tra Olaf e magistratura italiana hanno portato a significativi successi giudiziari.

Negli ultimi anni della sua vita, però, le confidò di essere stato deluso dalla magistratura italiana. Sa spiegarne le ragioni?

Il suo entusiasmo iniziale è stato alquanto offuscato quando il modo di trattare alcuni casi che coinvolgevano personalità italiane gli è apparso meno rigoroso dal punto di vista etico di quanto sperato. Capiva perfettamente che un fascicolo doveva rimanere aperto per un po’ per permettere che il lavoro di indagine e analisi potesse essere svolto. Ricordiamo a questo proposito che era un pubblico ministero professionista e sapeva per esperienza il percorso ad ostacoli che queste procedure possono essere.

E nonostante ciò?

Nonostante ciò non riusciva a capire perché alcuni casi dovessero rimanere aperti per anni senza alcun reale progresso o decisione. Dato che dovevamo gestire il flusso dei dossier di cui eravamo responsabili, ricordo che abbiamo affrontato più volte questa questione ed è stato in queste occasioni che ha condiviso con me i suoi interrogativi.

La magistratura ha perso molto in termini di fiducia da parte dei cittadini. Secondo lei perché?

Penso che in Europa esista un problema globale di giustizia, il primo dei quali è la perdita di fiducia dei cittadini. Vedono i magistrati come strani, lontani, ermetici, incomprensibili. I sondaggi che si svolgono in Francia rivelano un livello di fiducia molto basso al riguardo.

Per quale motivo?

Le ragioni di ciò sono numerose e non riguardano unicamente la struttura dell’istituzione giudiziaria, sia in Italia che in Francia o altrove. L’evoluzione delle società europee contemporanee, i profondi cambiamenti nelle nostre società, le aspettative a volte troppo impegnative e persino la riluttanza dalla sfera politica al posto della magistratura, tutto ciò contribuisce alla situazione attuale. E questo non è sostenibile.

Quindi, che consiglio si sentirebbe di dare ai suoi ex colleghi italiani per riacquistare il consenso perso con i cittadini?

Stima e rispetto sono accordati solo ai magistrati che svolgono la loro missione con professionalità, etica e impegno. Il modo in cui agiscono pubblici ministeri e giudici è essenziale. Non basterà da solo ripristinare l’immagine dell’Istituzione Giudiziaria perché il problema va ben oltre, ma è un punto di partenza da cui non si può prescindere. Sono convinto che questo valga anche per l’Italia.

Così l'ex capo delle inchieste dell’Olaf vede la giustizia italiana. Da leggere

Conversazione di Alessandro Butticé con Thierry Cretin, ex Pm francese e direttore delle indagini dell’Olaf, l’Ufficio Europeo per la Lotta alla Frode. La sua opinione sulla magistratura italiana e il ricordo del procuratore bavarese Franz-Hermann Bruener

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