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Il governo americano studierà attentamente la sentenza con cui la Corte di Giustizia dell’Ue (Cgue) ha di fatto calato il sipario sul Privacy Shield, l’accordo fra Ue e Stati Uniti che dal 2016 tutelava i dati dei cittadini europei trasferiti oltreoceano.

Dal Dipartimento di Giustizia Usa e dal governo federale fanno sapere che, nonostante la “delusione” per una decisione che richiede una pesante revisione dell’accordo, gli Stati Uniti “rimangono impegnati con l’Ue per assicurare la protezione dei dati”. Prossimamente, fa sapere un alto ufficiale del dipartimento guidato da William Barr, proseguirà l’interlocuzione con “la Commissione e l’Edp (European Data Protection board, ndr).

Secondo la Corte Ue, il Privacy Shield non tutelava sufficientemente i dati dei cittadini europei. Una decisione che potenzialmente può creare problemi per i colossi tech americani. Facebook, Google, Apple, sono in tanti che ora potrebbero trovarsi costretti a rivedere la loro strategia industriale nel Vecchio Continente. Il nodo non è facile da sbrigliare: raccogliere e processare i dati in Europa, costruendo un apposito centro, può avere costi alti.

Nonostante le rassicurazioni della vicepresidente della Commissione europea Vera Jourova e del commissario europeo alla Giustizia Didier Reynders, che hanno spiegato come le clausole contrattuali standard rimangano uno strumento adatto per trasferire dati personali degli utenti anche ad aziende che li processano in Paesi terzi, rimangono ancora alcuni nodi da sciogliere.

Il segretario al Commercio Wilbur Ross (nella foto) ha spiegato questo giovedì mattina che spera di “essere in grado di limitare le conseguenze negative di una relazione transatlantica da 7.1 trilioni di dollari”.

Al centro della diatriba c’è la Legge sulla sorveglianza degli Stati Uniti, che, secondo la Corte, non è compatibile con il quadro normativo europeo in materia di protezione dei dati.

Una revisione è difficile, ma non è impossibile, spiegano dal governo americano. Finché i tecnici non leggeranno attentamente le motivazioni della sentenza, spiega in una chiamata con la stampa internazionale un alto funzionario, qualsiasi previsione “è prematura”. Ma da Washington Dc filtra “ottimismo” e fanno sapere che “il governo e la Commissione Ue si sono coordinate da vicino per raggiungere un accordo positivo”.

Dopotutto, la sentenza non è giunta come un fulmine a ciel sereno ma al culmine di un processo negoziale che ha visto un confronto ininterrotto fra le due parti. “Gli incontri ad alto livello per trovare una soluzione proseguiranno – spiega la fonte – Stati Uniti ed Europa possono avere approcci differenti ma hanno valori condivisi, a cominciare da quelli democratici, e troveranno una soluzione comune”.

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