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La scorsa settimana aveva fatto molto discutere l’affermazione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte secondo cui chiunque tra Donald Trump e Joe Biden dovesse le elezioni presidenziali statunitensi di novembre per l’Italia “non cambierà molto”. Ha fatto storcere il naso al Partito democratico. E forse perfino al segretario Nicola Zingaretti, a cui molti dem insoddisfatti dell’alleanza di governo con il Movimento 5 stelle e in particolare del premier rinfacciano ancora oggi quando a dicembre definì Conte “un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste”.

Ma quella dichiarazione — che faceva il paio con un’altra dai medesimi contenuti pronunciata un mese prima — potrebbe avere lasciato l’amaro in bocca anche all’attuale amministrazione statunitense. Ad agosto il premier Conte ricordava il “buon rapporto” con il presidente Trump. Sarà stato felice l’attuale inquilino di Casa Bianca di sentir dire al capo di governo di uno dei principali Paesi alleati — lo stesso che parlava di “buon rapporto” — che lui o Biden poco cambia?

LE DIFFERENZE TRA DEM E GOP

Una stoccata al premier su questo tema è arrivata oggi, come osservato da Formiche.net, da parte del ministro agli Affari europei Enzo Amendola. L’esponente dem intervistato dal Corriere della Sera ha messo in guardia dalla Cina parlando di 5G e reshoring. “Non significa essere ammiratori di Donald Trump”, ha spiegato parlando dei temi della sicurezza. Anzi. “Negli Stati Uniti Joe Biden, il candidato democratico, su questi principi è anche più fermo del presidente”.

L’atteggiamento sulla Cina è cambiato e non si tornerà indietro facilmente. Tutt’altro. Perché, come sembra trasparire anche dalle parole del ministro Amendola, tra dem e repubblicani negli Stati Uniti c’è una differenza importante: la componente ideologica. L’aveva già spiegato ormai due mesi fa Carlo Pelanda, docente di Geopolitica economica all’università Guglielmo Marconi. Intervistato da Formiche.net, il professore aveva osservato che mentre il presidente Trump “non vuole rischiare la guerra e usa la dissuasione, cioè la minaccia, per ottenere un accordo”, con Biden (che pur fu grande sostenitore dell’ingresso di Pechino nel Wto durante l’amministrazione Clinton) alla Casa Bianca “ci sarebbe una presa di posizione ideologica” che si tradurrebbe in “una nemicizzazione molto forte”.

L’ANALISI DEL WALL STREET JOURNAL

Ieri sulla questione è intervenuto il Wall Street Journal (giornale nel portafoglio di Rupert Murdoch, patron anche dell’emittente Fox) con un articolo dal titolo chiarissimo: “Qual è la nuova politica di Biden sulla Cina? Assomiglia molto a quella di Trump”. A corredo una foto del 2011 di Biden e di Xi Jinping, allora entrambi vicepresidenti, a Chengdu.

L’attacco del pezzo è netto (e un po’ contiano). “Chiunque vinca le elezioni presidenziali, una cosa è chiara: gli Stati Uniti hanno voltato pagina nelle relazioni con la Cina ed è probabile che manterranno una linea più dura”. Colpiscono le parole di Kurt Campbell, il più alto ufficiale per l’Asia al dipartimento di Stato durante la prima amministrazione Obama: “Penso che ci sia consapevolezza diffusa nel Partito democratico che Trump è stato in buona parte preciso nella diagnosi delle pratiche predatorie della Cina”.

Il presidente Trump ha messo fine a quarant’anni di amministrazioni democratiche e repubblicane che cercavano “di incoraggiare l’integrazione cinese con gli Stati Uniti”, nota il Journal. Ma il cambiamento è anche più ampio, toccando Congresso e establishment di difesa e sicurezza. Tanto che, racconta il quotidiano murdochiano, il team della politica estera di Biden, composto in larga parte da ex membri dell’amministrazione Obama, affermato guardandosi alla spalle che l’ex presidente è stato “troppo morbido sulla Cina e troppo lento a riconoscere la tendenza nazionalista e autoritaria del presidente Xi Jinping”.

Così, nonostante le differenze tra i due candidati su comunicazione (il Team Trump parla di Guerra fredda) e strategia (il Team Biden invoca la cooperazione con l’Europa e altri alleati nel Pacifico) i contenuti appaiono assai simili. Con Biden alla Casa Bianca i dazi sulle importazioni cinesi voluti da Trump potrebbero rimanere, scrive il Journal. E ancora: le politiche per arginare Pechino e ridurre l’interdipendenza potrebbero espandersi mentre democrazia e diritti umani salirebbero in cima all’agenda dell’amministrazione.

E se a ciò aggiungiamo lo slancio internazionalista e multilaterale dei dem e di Biden, pensando all’atteggiamento italiano spesso restio su questi temi, viene da chiedersi: davvero non cambierà molto?

Biden e la Cina? Come Trump. Parola del Wsj (Italia avvisata...)

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