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“Fare sempre la cosa giusta, no matter what”. La salute viene prima di tutto, anche della politica. Una massima banale, che però è stata spesso messa in sordina in questi mesi di emergenza. Ne è convinto Luca Pani, professore ordinario di Farmacologia e Psichiatria Clinica all’Università di Miami, già direttore generale dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), in libreria con “Effetto quarantena” (Edizioni Lswr, insieme a Maria Elena Capitanio). Ai microfoni di Formiche.net il professore si chiede perché, se come documentano i verbali del Comitato tecnico scientifico il piano pandemico era pronto già a metà febbraio, è rimasto in un cassetto fino ad oggi. E si dà questa risposta. “Un pregiudizio psicologico, un bias decisionale, ha spesso dettato le decisioni del governo quando si è trovato di fronte a un bivio. Perché non ne hanno dato notizia? Perché la politica vuole mantenere il suo primato, non vuole dare il timone a un team di scienziati”.

Pani, di che pregiudizio parla?

Parlo di un timore che avvolge il decisore pubblico in queste situazioni. Fare la cosa giusta o quella conveniente? Assumersene la responsabilità o darla ai tecnici? È un dubbio che attanaglia anche scienziati e giornalisti. Ma c’è una differenza di fondo.

Quale?

Se sono presidente del Consiglio, e ometto qualcosa, le conseguenze sono sistemiche.

Si riferisce al piano pandemico?

Quello è un esempio. Far passare il messaggio che le raccomandazioni dei tecnici sono vincolanti può essere rischioso. In generale, ho l’impressione che molte delle decisioni prese in questi mesi non siano state estranee a considerazioni di convenienza politica. O elettorale.

Nel merito, si poteva fare di più?

È mancata una forte regia nazionale. E lo stesso è successo a livello europeo e mondiale. Ci siamo trovati di fronte a un fenomeno completamente nuovo, darwiniano. Un virus che ha fatto un salto di specie, da animale a uomo.

Quindi?

Quindi in queste condizioni la strategia più logica è ascoltare la scienza. Anche perché l’unica alternativa è l’anti-scienza. Congetture e confutazioni, sulla base dei dati che arrivano. Senza pretendere che ci siano risposte certe, perché sarebbe antiscientifico.

A febbraio la Fondazione Bruno Kessler già avvisava: mancano 10mila letti nelle terapie intensive. Ma quel documento è rimasto in un cassetto.

Qui devo spezzare una lancia a favore del governo. Diecimila letti, in un mese, non si costruiscono. Semmai la domanda da porsi è: esiste, oggi, un piano pandemico utilizzabile in caso di una nuova ondata in Italia? Sarebbe meglio scoprirlo, prima che sia troppo tardi. La scienza, purtroppo, viene spesso ascoltata in ritardo. Nel 2003, dopo la Sars, il premio Nobel Joshua Lederberg avvisava che il vero problema sarebbe sorto con un’infezione zoonotica, che fa un salto di specie. Nessuno gli ha dato retta. Quando dieci anni dopo Bill Gates ha detto la stessa cosa, fiumi di applausi.

Sullo sfondo, una questione irrisolta. Decidono i tecnici o la politica?

Io, da tecnico, sono in aperto conflitto di interessi (ride, ndr). Le raccomandazioni dei tecnici devono essere ascoltate. Se la politica non lo fa deve prendersi le responsabilità.

Di qui la seconda domanda: queste scelte vanno rese pubbliche? Su Formiche.net giuristi come Cesare Mirabelli, Carlo Nordio, Giovanni Maria Flick hanno risposto con un sonoro sì.

Io rispondo con “dipende”. La trasparenza è un valore costituzionale, ma non deve essere difesa a discapito della salute delle persone. E in questa pandemia a rischio è finita la salute mentale degli italiani oltre che quella fisica. È questa la vera prossima “ondata”: non abbiamo ancora scontato tutti gli effetti del virus. Ci sono poi scelte che possono instillare il panico, con effetti imprevedibili.

Ad esempio?

Faccio la zona rossa solo al Nord o un’unica zona rossa nazionale? Abbiamo ancora in mente le immagini della grande fuga al Sud dalla Stazione centrale di Milano, con diecimila persone accalcate sui treni.

Pani, il virus può tornare, dicono in coro gli scienziati. Cosa deve fare il governo per farsi trovare pronto?

Circondarsi di persone competenti. Esperti di pandemie internazionali, di psicologia delle masse. Tarare la comunicazione istituzionale. Costruire una cabina di regia molto centralizzata, ma con un ampio network internazionale, e rappresentanze nelle grandi organizzazioni estere, a partire dall’Oms. È fondamentale per allineare le strategie. Non si possono avere pratiche diverse tra Francia e Italia, o Italia e Svizzera, a distanza di 50 chilometri.

Intanto dal fronte vaccino arriva un primo stop: i test di AstraZeneca ad Oxford sono stati sospesi per effetti collaterali.

Non mi sorprende. I vaccini sono straordinariamente efficaci ma molto delicati da sviluppare. Tagliare gli angoli, quando si sviluppa un farmaco, è sempre una pessima idea. In media, un farmaco presenta una reazione avversa ogni diecimila persone. Una cifra molto bassa. Ma tutto dipende dal pubblico su cui viene testato. Questo vaccino dovrà finire nelle case di milioni di persone. La prudenza è d’obbligo.

Coronavirus, serve un piano pandemico, ora. Parla Luca Pani

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