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Limitare i danni era l’obiettivo del primo viaggio all’estero dall’inizio della pandemia di coronavirus del ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, che oggi ha concluso a Berlino il suo tour di una settimana in Europa. Prima tappa, la scorsa settimana in Italia; seconda in Olanda; terza in Norvegia; quarta in Francia; quinta e ultima in Germania, il Paese nel Vecchio continente meno ostile (soprattutto per ragioni di scambi commerciali) per la Cina.

Se Wang conclude il suo viaggio, un altro funzionario di Pechino inizia il suo. Proprio oggi, infatti, è partito il tour di Yang Jiechi, consigliere di Stato e direttore dell’Ufficio della Commissione affari esteri del Comitato centrale del Partito comunista cinese, che visiterà Myanmar, Spagna e Grecia. Il 14 settembre, invece, il presidente Xi Jinping incontrerà in videoconferenza alcuni leader europei (la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese Emmanuel Macron, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen) per discutere l’accordo commerciale Ue-Cina che Berlino punta a chiudere entro l’anno per tenerlo sotto il cappello del semestre di presidenza tedesca del Consiglio dell’Unione europea (ma molti Paesi Ue frenano, temendo un compromesso al ribasso pur di firmare l’intesa).

Ma l’obiettivo di damage control (come l’ha definito il South China Morning Post) sembra essere stato mancato dal ministro Wang, perfino in Germania. La diplomazia dei “lupi combattenti” messa in atto nelle settimane più calde del coronavirus non sta pagando.

LA (FREDDA) ACCOGLIENZA TEDESCA

Nella capitale tedesca il capo della diplomazia cinese ha incontrato l’omologo Heiko Maas, che in tandem con la cancelleria Angela Merkel sta guidando gli sforzi della Germania per ritrovare centralità nella politica estera dell’Unione europea. Come analizzava Lucio Caracciolo, direttore di Limes, su Repubblica domenica, “la Germania sta riscoprendo l’ambizione della potenza e non tornerà indietro, anche se non sa fin dove spingersi”. Basti pensare alla partita del Recovery Fund, alla crisi greco-turco-mediterranea, alla Bielorussia e all’embargo sulle armi nei confronti dell’Iran. “Berlino si è fatta avanti come centro di gravità. Talvolta senza avvertire i partner. Neanche fosse l’America”, aggiungeva Caracciolo.

Prima dell’arrivo in Europa del ministro Wang molti erano pronti a scommettere che avrebbe trovato in Roma e Berlino le capitali “più facili”. Ma è andata diversamente. Nei giorni scorsi su Formiche.net avevamo sottolineato il “ricevimento di seta” ricevuto a Parigi: accolto dal presidente Macron in persona, nessun riferimento formale a Hong Kong, nessuna conferenza stampa o dichiarazione ufficiale, nessuna menzione del tema del 5G su cui l’intelligence francese da settimane suggerisce all’Eliseo prudenza.

Il ministro Wang nel suo tour europeo ha incontrato, oltre a Macron, anche il premier olandese Mark Rutte e la primo ministro norvegese Erna Solberg. Soltanto una telefonata con il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, titolare del dossier 5G che vede l’Italia, come raccontato negli scorsi giorni da Formiche.net, in prima linea contro Huawei. Neanche una telefonata, invece, con la cancelliera Merkel (richiesta di incontro negata), che sul tema delle rete di quinta generazione si è mossa in modo da non infastidire Pechino (evitando, per esempio, divieti o strette su Huawei).

I DIRITTI UMANI

Basterebbe questo a sottolineare le difficoltà della diplomazia di Pechino. Ma c’è di più. In tutti e cinque i Paesi visitati il ministro Wang è stato accolto da proteste e appelli in difesa dei diritti umani, tema che è stato al centro anche di alcune conferenze stampa con gli omologhi: di quella con Di Maio, ma anche di quella odierna con Maas. Che davanti ai giornalisti e con Wang al suo fianco ha chiesto una missione di osservatori Onu per lo Xinjiang, ha invitato Pechino a ritirare la legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong e ha espresso “piena solidarietà” al presidente del Senato ceco finito, a causa della sua recente visita a Taiwan, nel mirino di Pechino (anche di Wang, che ha parlato a Berlino di “interferenze straniere”).

E ancora: a chi è stata affidata la prima domanda alla conferenza stampa Maas-Wang? A un giornalista della Bild, giornale tedesco noto per le sue posizioni anticinesi, che ha accusato la Cina di mentire sul coronavirus, detenere gli uiguri e arrestare gli hongkongesi.

Ma non è tutto. A surriscaldare il clima ci aveva pensato nel fine settimana, a metà del viaggio di Wang in Europa, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, definendo la Cina un “nuovo impero” e invitando l’Unione europea a “correggere” gli squilibri economici prima che sia “troppo tardi”, come riportato da Formiche.net.

IL TEMPO SCORRE…

Qualcosa sta cambiando a Berlino? Noah Barkin, senior visiting fellow dell’Asia Program al German Marshall Fund, nell’ultima edizione della sua newsletter Watching China in Europe ha messo in chiaro il messaggio con cui Wang tornerà da Berlino dopo aver incontrato l’omologo Maas e il presidente Frank-Walter Steinmeier: “La Cina sta danneggiando irreparabilmente sé stessa e il tempo a disposizione per rispondere alle preoccupazioni europee sta scadendo”. E sottolineava: “Noto per aver scelto con cura le sue parole, Steinmeier ha avvertito il mese scorso di un ‘cambiamento negativo duraturo’ nelle relazioni dell’Europa con la Cina se non avesse invertito la rotta a Hong Kong. Nessuno in Europa si illude che lo farà”.

…IN ATTESA DI BIDEN?

La Germania sembra scommettere su un cambio di amministrazione a Washington a novembre. Lo stesso sembra fare Pechino: il viaggio del ministro Wang era pensato anche per spaccare il fronte europeo dell’alleanza transatlantica — a Parigi ha invitato l’Europa a unirsi alla Cina nel respingere le “forze estremiste” a Washington. Se Donald Trump venisse rieletto, l’Europa potrebbe essere “costretta a uno spaventoso atto di bilanciamento tra due superpotenze ostili”, scrive Barkin aggiungendo che il termine equidistanza “non sarebbe più un” tabù. Ma una vittoria di Joe Biden “potrebbe cambiare tutto” in termini di cooperazione transatlantica sulla Cina, aggiunge.

(Foto: Kremlin.ru)

Perché il viaggio europeo del ministro cinese è stato un flop

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