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Un Movimento più europeista, che guarda l’immigrazione non come un rischio, ma come una risorsa, attento alle nuove frontiere del lavoro (come lo smartwoking) e profondamente convinto che uno non vale uno, ma che sia necessario puntare sulle competenze. È questa la fotografia fatta da Domenico De Masi, sociologo che già in passato ha collaborato con il Movimento 5 Stelle (si ricorda lo studio sul Reddito di cittadinanza), della forza politica che vive da mesi un percorso di evoluzione, “non mutamento”, sottolinea il professore, e che da aprile a settembre ha condotto un’indagine con 15 esponenti pentastellati intitolato Dopo il coronavirus. La cultura politica del Movimento 5 Stelle. La guida del Movimento? Per la maggioranza deve essere collegiale, sottolinea De Masi, “e se posso dargli un consiglio direi: avvaletevi di una piattaforma indipendente”.

Professore, quanto è cambiato il Movimento 5 Stelle da quando lo ha conosciuto la prima volta?

Devo dire la verità, vengono fuori due dati, uno abbastanza sistematico che dipende anche dal metodo utilizzato: non è come uno spettacolo di Grillo che mette assieme tante cose molto diverse tra loro, ma una buona sistemazione dei concetti. Il secondo dato è che ci sono parecchie variazioni rispetto alle ricerche che feci quattro anni fa.

Ci spieghi meglio.

Si nota che l’esperienza di governo li ha cambiati molto. Intanto, cominciamo dalla convergenza. Il metodo usato per questa ricerca interroga in questo casi 15 soggetti più diversificati possibile a cui viene posto un primo questionario a cui devono rispondere per esteso, ossia quanto vogliono. Pensi che hanno risposto ciascuno una ventina di pagine.

Dopo di che?

Dopo questo primo passaggio, dalle risposte ricevute si ricavano delle proposizioni, degli items, che costituiranno il secondo questionario che poi verrà mandato a tutti. In base a questo secondo questionario, totalmente anonimo, arrivano le risposte di tutti. Parliamo di 1.828 previsioni, e ben 1705, quasi tutte, hanno avuto la maggioranza dei consensi.

Cosa significa?

Significa che c’è una grande convergenza delle diverse anime, malgrado l’eterogeneità dei partecipanti allo studio. Insomma, non importa a quale “corrente” appartengano, perché la gran parte ha una visione comune sulla maggioranza dei temi. Cioè, se il tema si depura da pregiudizi e antipatie personali, viene condiviso da tutti.

Entriamo nello specifico, su quali temi c’è convergenza?

Sinteticamente: c’è convergenza sulla salute, sulla finanza, sull’ambiente, sulle migrazioni, l’equilibrio geopolitico mondiale, l’intelligenza artificiale, la bioetica, la sostenibilità, le questioni di genere e le frontiere della scienza e del progresso. Su tutto questo sono d’accordo. Poi ci sono temi che arrivano dal passato, e che restano.

Ci fa un esempio?

Ad esempio sono ancora contrari alle ideologie, però si contrappongo all’agnosticismo. Ad esempio, non credono più che uno vale uno, ma sottolineano il valore della competenza e della meritocrazia. Evidentemente stare al governo gli ha fatto capire che non si può essere incompetenti e il coronavirus ha poi rafforzato questa convinzione.

Il coronavirus ha anche cambiato l’approccio con l’Europa. O no?

Il Movimento è diventato fortemente europeista, molto più di quanto si possa immaginare. Ma restano però alcune loro bandiere storiche come onestà, competenza ed empatia, così come la fiducia nel progresso tecnologico e scientifico. Resta l’importanza fondamentale dei temi ambientali, che arrivano da lontano e ancora oggi permeano il Movimento 5 Stelle a tutti i livelli.

Facciamo un passo indietro: ha parlato della convergenza sul tema dei migranti. In che direzione si orienta?

C’è una grande apertura sul tema degli immigrati, sul bisogno di integrarli. Si sottolinea l’atteggiamento positivo verso le migrazioni e c’è anche una giustificazione: il calo demografico italiano non può che giovarsi di nuovi giovani che arrivano attraverso i flussi migratori. Ma c’è un altro elemento di novità nella visione dei 5 Stelle.

Quale?

Il recupero del ruolo dei sindacati. I due soggetti per i quali i 5 Stelle hanno un recupero maggiore sono i sindacati e il ruolo degli intellettuali. Questo nuovo Movimento punta e guarda con grande interesse a intellettuali e competenti, dei quali non si può fare a meno.

Nell’ambito del mondo del lavoro, i cavalli di battaglia restano gli stessi del passato?

Lo smart working assume in questo momento un ruolo molto importante, sia per necessità sia perché puntando molto sul green questo tipo di modalità lavorativa permette di consumare meno energia. La consapevolezza, poi, che le nuove tecnologie diminuiscano i posti di lavoro fa sì che si rafforzi l’idea che il reddito di cittadinanza sia ancora una necessità, così come la riduzione dell’orario di lavoro.

A livello di posizionamento politico, invece? Cosa è cambiato?

Su questo sono molto compatti e assumono una posizione di “terza via”, né di destra né di sinistra. Devo dire che conosco personalmente Giddens (Anthony, autore del libro La terza via, ndr) e ho seguito la parabola di Tony Blair e personalmente credo che non sia la strada migliore da seguire, ma quella della ricerca è una fotografia del presente, non una mia opinione.

Passiamo all’economia…

C’è sicuramente una forte precedenza data all’economia reale rispetto all’economia finanziaria, e di conseguenza il rifiuto del neoliberismo e quindi la difesa di un socialismo che definirei liberale, socialdemocratico.

Uno spostamento o un ritorno a sinistra?

Non c’è dubbio, ma c’è una spiegazione. I 5 Stelle dopo le elezioni del 2018 erano un mucchio di sabbia con granelli di destra e granelli di sinistra. I granelli di destra se li è fregati tutti Salvini, quindi quello che è rimasto di quel 34% è rimasto di sinistra. Ora il Movimento è più compatto a sinistra, c’è poco da fare. D’altra parte le cose che loro hanno fatto sono le uniche di sinistra fatte in Italia da qualche tempo a questa parte.

Parla del Reddito di cittadinanza?

Sì, ma non solo. Penso all’esproprio dei Benetton, il decreto dignità, sono tutte cose di sinistra che avrebbe potuto fare il Partito democratico se non avesse avuto l’irruzione del liberista Matteo Renzi.

Alessandro Di Battista in questa ricerca dove si può inserire? Perché nel programma da lui condiviso sui social c’è un approccio molto diverso ad esempio sul tema migratorio…

Ho letto il suo documento, in buona parte può muoversi nella direzione dell’analisi presentata oggi, su altri punti come quello delle migrazioni come dice lei invece è molto distante. Le rivelo una cosa: dei 17 esponenti che dovevano far parte dell’analisi c’era anche Di Battista, ma anche se ha detto che avrebbe risposto non l’ha poi fatto nei termini temporali concordati. E come lui anche il ministro Patuanelli. Non è una critica, ma la cronaca dei fatti.

Parliamo ora di guida del Movimento: leader unico o guida collegiale?

La proposta che ha avuto la maggioranza dei consensi è per una leadership collegiale, senza segretario o capo unico.

Resta la questione Rousseau: che ruolo avrà?

La ricerca dice che un partito moderno non può non avere una piattaforma. Sicuramente la piattaforma del Movimento funziona di più e meglio sul versante della formazione. Su questo dovrebbe continuare a puntare. E vorrei poi dargli un consiglio: puntate a una piattaforma indipendente.

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