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Terrore a Parigi. Due giorni dopo quel “pericolo scampato” seguito all’allarme bomba alla Tour Eiffel, l’incubo diventa realtà. Il terrorismo è tornato, e porta ancora una volta il jihad islamista nella capitale francese.

Un dejavu. La scena del crimine è nei dintorni della vecchia redazione di Charlie Hebdo. La stessa dove cinque anni fa un commando armato di terroristi ha assassinato la squadra di giornalisti della rivista satirica, inaugurando una stagione di terrore in Francia e in Europa.

Due i sospettati, e fermati, un pachistano di 18 anni e un algerino di 33. Il primo avrebbe accoltellato, ferendoli gravemente, due dipendenti dell’agenzia Première Ligne. La stessa, forse non a caso, che nel 2015 diffuse per prima il video dei fratelli Kouachi in fuga dopo la strage.

Mentre ancora si inseguono le notizie sui numeri e i volti dell’ennesimo attentato nel cuore di Parigi, si possono mettere insieme le prime informazioni. A partire dall’identità di uno dei due attentatori, il giovane pakistano, conosciuto dalla polizia per reati minori, senza (apparentemente) precedenti di indottrinamento religioso.

“Se fosse confermato questo identikit, si uscirebbe dallo standard tipo di terrorista che dal 2015 ad oggi abbiamo imparato a conoscere in Francia – dice a Formiche.net Claudio Bertolotti, analista del Cemiss e direttore di Start InSight – finora in prevalenza si trattava di individui nordafricani di seconda o terza generazione. Circa l’1% dei radicalizzati in azione proveniva dall’Asia meridionale, cioè Afghanistan e Pakistan”.

Un attacco in parte annunciato, spiega l’esperto. Complice la campagna di solidarietà dei giornali francesi per Charlie Hebdo, ancora oggi costretta a vivere blindata in un edificio dove nessuno entra, nessuno esce. “Ci si poteva aspettare un attacco di questo tipo. Alla scelta della rivista di continuare a pubblicare vignette dello stesso tenore avevano fatto seguito dichiarazioni minatorie di alcune fronde jihadiste”.

Né è nuovo il modus operandi, continua. “Quest’azione rientra nella statistica di tutte quelle compiute negli ultimi due anni. Bassa intensità, armi bianche, facili da reperire e da occultare. Non dissimile dal recente attentato in Svizzera”.

Resta un punto interrogativo, il solito. Lupi solitari o terrorismo organizzato, magari con una regia oltreconfine? I dettagli raccolti sembrano indicare la prima strada, ma è presto per tirare le somme. “L’Isis come lo abbiamo conosciuto è finito – dice l’analista – siamo nella fase post, ciò che è rimasto si è evoluto intorno ai gruppi dell’Islam politico. Soggetti che nulla hanno a che fare con lo Stato islamico, e che si lanciano nel jihad per combattere una realtà, un modello culturale che non riconoscono”.

Parigi, torna il terrore. Anche l'Isis? Il commento di Bertolotti (Cemiss)

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