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L’Italia si deve rialzare, le imprese tornare al centro del villaggio e gli investitori stranieri ricominciare a fidarsi dell’Italia. Enrico Maria Rosso non ci sta a darla vinta ai disfattisti, punta tutto su ottimismo e voglia di rinascita nazionale. Rosso, imprenditore torinese dell’automotive, ha fondato la Rewen Group, società leader nella ristrutturazione di imprese in crisi, è membro dell’Aspen e ceo della Ht&l Fitting, azienda attiva nel trattamento dei pneumatici. Inoltre, è il Rappresentante Onorario della Camera di Commercio Americana per il Piemonte. E adesso è il candidato alla presidenza dell’Unione degli industriali di Torino, cuore pulsante della nostra economia.

Rosso lei aspira alla leadership degli industriali torinesi, per tradizione il motore di questo Paese. Idee per una ripartenza del Paese?

Faccio una premessa se me lo consente. In questi anni, pur facendone parte, sono sempre stato un po’ critico con Confindustria. Questo perché l’associazione non è riuscita ad avere quel peso che avrebbe dovuto avere. Confindustria è nata qui, a Torino, e ha visto grandi capitani di industria avvicendarsi alla guida dell’Unione degli industriali torinesi. Oggi quei riferimenti non ci sono più e la mia critica parte proprio da quello, bisogna riprendersi un ruolo che c’era in passato e che oggi non c’è più.

E questo ruolo perduto lei potrebbe in qualche modo resuscitarlo…

Mi sono candidato per questo. Oggi ritengo che dobbiamo ricominciare a dire le cose, in un momento come questo serve una discontinuità, una rottura del sistema. Viviamo in un momento in cui dobbiamo avere il coraggio di andare contro certe scelte, anche regionali.

La sua proposta per il Piemonte ma anche per l’Italia del post-coronavirus?

Io ho elaborato una specie di piano in cinque punti. Sui quali costruire un nuovo ruolo delle imprese, affinché tornino protagoniste e anche una ripartenza del Paese. Punto primo, fare squadra, ovvero meno categorie ma più coese tra loro, perché lo spezzettare non porta al rafforzamento del gruppo. Secondo, avere una leadership territoriale, forte e riconosciuta per essere punto di riferimento sul territorio e terzo, fare una lobby all’americana sana, per sapere per esempio in anticipo quali saranno gli investimenti dei grandi gruppi, per proporsi.

Parla di intercettare nuove imprese per farle convergere in Piemonte?

Sì, grandi gruppi e grandi manager. Boeing, Walmart, Coca Cola. Ed è il quarto punto in realtà,  dobbiamo far incontrare i nostri associati per un sano scambio di vedute. In questo modo si creano non solo occasioni di business, ma si fa anche passare un messaggio: che non sempre piccolo è bello, ma bisogna ingrandirsi, allargarsi le spalle insomma, con gruppi di grosso calibro.

Torniamo alla sua agenda. Manca il quinto punto…

Eccolo, ed è anche quello più importante, ne abbiamo accennato prima: l’attrazione degli investimenti, noi non possiamo farne a meno. Il Piemonte ma tutto il Paese. Qui servirebbero gruppi di lavoro tra amministratori, Politecnico, imprese, sindacati, per individuare aree sulle quali investire. Si intercettano grandi gruppi, americani e non e si verifica la possibilità di investire, coinvolgendo anche le banche per sostenere eventuali operazioni. Attrazione vuol dire posti di lavoro e Pil pro-capite, non dimentichiamolo.

Non sarà facile quello che lei propone. Vale però la pena tentare…

Altroché se vale la pena. Il Paesi ha bisogno di questo, so che sarà lunga: c’è la politica, c’è la burocrazia, ci sono le leggi. Ma lo dobbiamo fare, perché abbiamo una capacità attrattiva da sfruttare.

Lei cita spesso le aziende americane, anche in virtù del suo ruolo presso la Camera di commercio. Ma cosa dicono le imprese Usa dell’Italia?

Che siamo un grande Paese su cui investire. Ma burocrazia e giustizia poco certa sono un filtro, un ostacolo. Quelle che finora sono venute lo hanno fatto per ragioni di comparto, automotive e aerospazio in primis. Ma non basta, bisogna fare di più. Ora c’è fermento, anche a Torino, dove si sta sperimentando la 500 elettrica. Ben venga la rinascita di un territorio, Torino può diventare un hub a cielo aperto, perché l’Italia non dovrebbe diventare un hub formato maxi?

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