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Fitch ha declassato il debito italiano. Un giudizio pesante, ma isolato. Per Fitch siamo a un gradino dalla spazzatura, ma con previsione stabile. Ovvero di restarci. Per le altre due agenzie siamo a due gradini, ma con previsione negativa. Ovvero di scendere. Non ci sono conseguenze immediate, ma è bene preoccuparsene immediatamente.

Il nostro debito pubblico era patologicamente alto prima dell’epidemia, ora non può che crescere. Tale evidenza non deve però indurre alla rilassata rassegnazione. Se non ci fosse stata l’epidemia quel declassamento sarebbe, forse, stato meno isolato. In un certo senso il necessario venir meno delle regole precedenti finisce con il favorirci. Ma il problema è solo rimandato, non risolto.

Il nostro non è solo il pesante debito, ma la debolissima crescita. La ragione di scarsa affidabilità è data dal rapporto fra le due cose: troppo debito e troppo poca crescita. Ora il debito sale ulteriormente, sicché si deve puntare sulla crescita. Si può farlo, anche in questo difficile momento, usando il tempo del blocco per fare quello che non si è voluto fare, schiodando l’Italia dalle sue arretratezze consolidate. Si guardi Genova: accantonando il codice appalti e usando le regole europee non si è derogato al diritto e alla trasparenza, ma messa in moto una macchina produttiva che non si è fermata neanche con i contagi. Vero che tutto è andato a passo di carica, data la rilevanza nazionale di quella tragedia, ma anche questo dimostra che si può fare. Ora soldi per gli investimenti ce ne sono di più, vanno usati. E il modello vale anche sul fronte epidemia, colà fronteggiata e contenuta.

Purtroppo ci sono due elementi che scoraggiano. Il primo è il delirio regolatorio dei decreti succedutisi, che vanno in direzione esattamente opposta alla semplificazione e responsabilizzazione. Il secondo è il silenzio della politica, su altro fin troppo loquace, sul fronte della produzione. Il periodo del blocco deve essere vissuto come una dannazione da cui uscire appena possibile, invece mi pare molti l’abbiano preso per una benedizione nella quale accomodarsi.

E c’è un terzo elemento: il continuo e ripetuto riferimento al patrimonio privato per portarlo a soccorso del debito pubblico, laddove, all’opposto, va portato a sostegno della macchina produttiva. Anziché favorire fiscalmente chi consegna i propri soldi allo Stato lo si faccia per chi li investe nella produzione.

Fitch oggi non morde, ma presto il problema si porrà. Non quello dei giudizi relativi al rating (pur importanti, nonostante un folto gregge di stolti crede d’affrontarlo maledicendo le agenzie, che serve a meno di niente), ma quello della sostenibilità del debito. Abbiamo solo due armi: la copertura europea e la crescita. La prima basterebbe non metterla in discussione. La seconda richiede una scossa interna e i congiunti, chiunque essi siano, più che stabilire come andarli a trovare si tratta di organizzarsi per metterli a lavorare.

Fitch declassa, brutto segno ma isolato. L'analisi di Giacalone

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