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I governi il cui bilancio dipende più o meno dal petrolio sono sotto pressione e potrebbero presto dover effettuare dei tagli alle spese previste per il 2025. I numeri del greggio sono precipitati di oltre il 15%, toccando i dati fatti registrare durante la pandemia Covid. Un segnale di allarme che è scattato in vari Paesi produttori, non solo Usa e golfo. Per questa ragione il segretario americano all’energia Chris Wright è impegnato in un lungo tour di due settimane in Medio Oriente al fine di trovare una strategia comune e analizzare cause (note) ed effetti (più complessi da prevedere), da ritrovarsi nelle crescenti tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina sui dazi decisi da Donald Trump. Il mercato appare fortemente destabilizzato a causa della continua volatilità in un contesto di indebolimento della domanda globale e di aumento delle barriere commerciali: tutti fattori che impattano sulle scelte già di oggi che i super players, ma anche altri Paesi cosiddetti terzi come Nigeria, Brasile, Iran, Kazakistan, stanno immaginando di compiere.

Bad performances

Giovedì è stata una giornata campale. I future sul petrolio greggio sono scesi di oltre il 3% nonostante Trump abbia fatto marcia indietro (per 90 giorni) sui dazi all’Ue: il vero nocciolo della questione riguarda le tariffe applicate a Pechino. Il petrolio è sceso di 2,28 dollari, chiudendo a 60,07 dollari al barile, mentre Brent ha perso 2,15 dollari, (attestandosi a 63,33 dollari al barile). La conseguenza è stata la svendita di azioni del settore petrolifero e del gas: TotalEnergies è scesa del 2,08%, Shell del 4,3%, Chevron del 5,47% BP del 4,5%. Peggio di tutti ha fatto Cenovus Energy che ha perso l’8,45%. Non solo i produttori, ma anche gli investitori sono fortemente preoccupati di questi numeri e del trend che potranno innescare nell’intero settore energetico. La US Energy Information Administration ha abbassato le sue previsioni di crescita economica globale a causa dei dazi che potrebbero incidere pesantemente sui prezzi del petrolio. Di questo e delle contromosse da mettere in atto discuteranno i partecipanti alla prossima riunione dell’Opec+ prevista per il 5 maggio.

La missione di Wright

Il Segretario americano all’energia Chris Wright, in occasione del suo primo viaggio ufficiale all’estero da quando ha assunto l’incarico, ha inaugurato il suo tour mediorientale dagli Emirati Arabi Uniti per approfondire la collaborazione ed esplorare nuove opportunità di partnership. In prima battuta ha approfondito il tema degli investimenti, incontrando i leader dell’energia, della tecnologia e degli investimenti degli Emirati Arabi Uniti presso la sede centrale di Adnoc: Ahmed Al Jaber, ministro dell’Industria e delle Tecnologie Avanzate degli Emirati Arabi Uniti, amministratore delegato e ceo del Gruppo Adnoc, presidente di Masdar e presidente esecutivo di XRG. In seguito Suhail Al Mazrouei, ministro dell’Energia e vari ceo come Mohamed Al Ramahi di Masdar; Musabbeh Al Kaabi, di Adnoc Upstream; Khaled Salmeen, Adnoc Downstream e Coo di XRG; Thomas Pramotedham di Presight; Mansoor Mohamed Al Hamed di Mubadala Energy; Bakheet Al Katheeri di Mubadala Uae Investments Platform, e Magzhan Kenesbai di AIQ.

Abbondanza di energia

Il significato della scelta degli Eau come prima visita ufficiale di Wright è chiaro: in un mercato energetico globale dinamico, non solo i due Paesi puntano “all’abbondanza di energia, liberando il potere dell’intelligenza artificiale per migliorare la competitività dei costi”, come detto dal ministro emiratino ma vogliono compiere un tratto di strada insieme nel complesso del dossier energetico. Non a caso nell’ambito della visita Al Jaber e il Segretario Wright hanno co-ospitato il Future Energy Leaders Majlis, instaurando un dialogo con giovani ingegneri, scienziati, tecnici, tecnologi, tutti impegnati a massimizzare il valore delle vaste riserve di idrocarburi dell’Emirato.

Da un lato Washington immagina una crescita della domanda di petrolio e gas, dall’altro al fine di soddisfare questa richiesta gli Usa non possono che fare squadra con Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar, destinatari della missione del responsabile dell’energia degli Stati Uniti. Appare evidente che il viaggio del segretario dell’Energia servirà a gettare le basi per la visita del presidente Trump in Medio Oriente, prevista a metà maggio e che sarà preceduta da altre interlocuzioni: lo stesso Wright ha descritto i giorni di tensione appena trascorsi “come un insieme di passi necessari per raggiungere un consenso con la Cina”.

Le mosse degli altri

L’Arabia Saudita ha deciso di aumentare la produzione, spingendo gli analisti a descrivere questa mossa come una scommessa tout court. Se il petrolio quest’anno avrà un valore medio di 62 dollari al barile, il regno vedrà lievitare il deficit di bilancio a 67 miliardi di dollari, circa il doppio di quanto Riad aveva previsto nel dicembre scorso. Non sfuggirà che se già una quotazione di 60 dollari al barile avrebbe fatto per così dire appiattire la produzione, la discesa a 50 dollari è l’anticamera di uno schock. Stessa difficoltà per la Russia che non è fra i destinatari dei dazi trumpiani, ma ciononostante intende accelerare la riapertura dei rubinetti perché alle prese con due problemi strategici: il crollo del rublo e la carenza di risorse per la lunga guerra in Ucraina e per le sanzioni internazionali. Il prezzo medio di 69,7 al barile immaginato da Mosca ora deve confrontarsi con la realtà data dai 50 dollari al barile: un colpo secco alle previsioni sugli incassi.

Chi tira dritto per la propria strada è ancora una volta Abu Dhabi, che pensa di investire nel settore petrolifero e del gas africano, anche al fine di diversificare il proprio portafoglio di investimenti ed espandere la propria influenza nel continente nero, passaggio che può intrecciarsi con il Piano Mattei del governo italiano. Il Kazakistan ha il grosso del suo bilancio in entrate petrolifere, per cui potenziali tagli al bilancio stesso non sono da escludere. Il Brasile, inoltre, vorrebbe cambiare schema e aumentare l’asta per le quote di partecipazione nelle aree petrolifere offshore proprio per aumentare le relative entrate, a fronte di un bilancio per l’anno in corso che, dipendendo anch’esso dal Brent, dovà essere tagliato. Il Kuwait ha approvato una legge che consente al suo governo di attingere ai mercati del debito internazionali per la prima volta dal 2017.

L’Iraq potrebbe fermare i progetti infrastrutturali programmati per la ricostruzione di Baghdad. La Nigeria dovrà rivedere al ribasso, del 50%, le sue entrate totali connesse all’energia. Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha dichiarato lo stato di emergenza economica nel Paese sudamericano. Un terzo del bilancio iraniano dipende dalle entrate petrolifere e come gli altri Paesi citati dovrà rivedere i propri piani.

Il petrolio crolla. Chi si preoccupa e chi cerca soluzioni

Se già una quotazione di 60 dollari al barile avrebbe fatto per così dire appiattire la produzione, la discesa a 50 dollari è l’anticamera di uno schock. Iran, Brasile, Venezuela in grande affanno, mentre Abu Dhabi tira dritto e pensa di investire nel settore petrolifero e del gas africano, anche per espandere la propria influenza nel continente nero (passaggio che può intrecciarsi con il Piano Mattei del governo italiano). Incandescente la prossima riunione dell’Opec+ prevista per il 5 maggio

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