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L’Italia chiede solidarietà all’Unione europea, chiede aiuti sotto forma di sostegno economico-finanziario. Del resto è noto che le opinioni pubbliche dei paesi mediterranei della Ue hanno una immagine distorta della Ue stessa: la Ue in questi paesi viene vista come una fonte di contributi finanziari e aiuti in senso lato. La Ue nell’immaginario collettivo di questi paesi ha preso il posto che aveva lo Zio Sam nel secondo dopoguerra. Il fatto è che a Bruxelles non ci sono soldi! Che non lo sappiano le nostre opinioni pubbliche è disdicevole ma che non lo sappiano i nostri decision makers è grave. Il budget Ue si aggira intono ai 150 miliardi di euro all’anno, laddove il budget della sola Italia supera gli 800 miliardi.

Vale la pena rammentare rapidamente che la Ue non è un centro di distribuzione di risorse ma un centro che stabilisce le regole per il mercato più grande del mondo. Queste regole vengono poi adottate da tutti i paesi del mondo le cui imprese vogliono poter accedere al mercato più appetitoso. Lamentare, come alcuni nostri politici fanno, che siamo uno dei contributori netti al bilancio Ue non ci fa fare una bella figura: dimostriamo di non capire che il nostro contributo netto (pochi miliardi) è il prezzo del biglietto d’accesso al mercato più ricco del mondo.

Ai nostri politici sta sfuggendo un argomento ancora più importante. Il fatto che la richiesta di aiuto economico alla Ue potrebbe cambiare la Ue. Unione europea che ancora non ha trovato se stessa ed è alla ricerca di una identità. Non facciamoci illusioni: la crisi Covid-19 non mette in pericolo la Ue ma spinge per una interpretazione della Ue in chiave accentratrice. È da tempo che ci si chiede se la Ue debba rimanere un centro dove si decidono le regole valide per uno spazio di libertà o se debba svilupparsi e divenire una sorta di superstato. Superstato dotato di politica estera, potere militare e potere finanziario.

Sin qui è prevalsa l’immagine di una Europa intesa come spazio, spazio di libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone. Libera circolazione garantita dal fatto che i beni, i servizi e i capitali fossero conformi a standard codecisi, standard non imposti da potenti imprese multinazionali ma, appunto, co-decisi in un complesso processo che vede coinvolti imprese, rappresentanti dei consumatori, politici, sindacati. Libera circolazione che si basa su una “carta dei diritti fondamentali” considerata più sofisticata della Carta su cui si fonda il Consiglio d’Europa.

L’idea di fare della Ue un super potere è stata bocciata nel 2005 quando il così detto secondo trattato di Roma (che era stato messo a punto da Giscard d’Estaigne), quello che avrebbe dovuto rappresentare una sorta di “carta costituzionale” dell’Europa, dopo essere stato firmato dagli allora 28 Stati Membri, è stato poi bocciato al momento della ratifica. Francia e Olanda, infatti, hanno bocciato quel progetto di superstato con altrettanti referendum.

Un superstato richiederebbe un potere finanziario che oggi la Ue non ha. La crisi provocata dal Covid1-9 potrebbe portare la Ue a dotarsi di un bilancio molto più consistente di quello attuale. In questo modo si farebbe un sostanzioso passo in avanti verso una concezione della Ue come superstato. Un passo forse ancora più sostanzioso lo si farebbe se si dotasse la Commissione del potere di emettere titoli di debito proprio come uno stato.

Il fatto è che la Ue è qualcosa di nuovo che non si è mai presentato prima nella scena della storia. Molti sono portati ad interpretare questa cosa nuova con categorie concettuali nate nel passato per inquadrare fenomeni diversi, in particolare il fenomeno dello Stato. Ma la Ue non è uno Stato.

Personalmente dichiaro che preferisco la concezione della Ue come “spazio di libertà e di comunità di valori”, piuttosto che una Ue come superstato. Valori garantiti da meccanismi giuridici che, per noi italiani, rappresentano un utile argine alle divagazioni della nostra magistratura, un sollecito al superamento della nostra sclerosi burocratica, un quadro di riferimento per il nostro legislatore. La preferisco all’idea di un potere centrale europeo basato su un potere finanziario e non solo sul potere dell’autorevolezza delle regole.

A questo punto mi domando due cose.

Innanzi tutto quei nostri politici che richiedono un aiuto finanziario diretto dalla Ue si rendono conto che stanno rafforzando la concezione di una Ue intesa come superstato e non di una Ue intesa come spazio di condivisione di regole e principi? Eppure tra chi chiede l’aiuto economico alla Ue ci sono politici non certo favorevoli ad un rafforzamento del potere di Bruxelles. Questi politici in principio non favorevoli alla Ue si rendono conto che è meno pericoloso un prestito secondo i meccanismi del MES che conferire alla Commissione il potere di attivare meccanismi di debito pubblico al pari di uno Stato?

La seconda domanda che mi pongo me la ha suggerito un mio amico, il dr. Alfonso Zardi, già dirigente prestigioso del Consiglio d’Europa. L’amico Zardi mi ha fatto notare che sarebbe opportuno chiedersi perché nessun Stato membro colpito pesantemente dal Covid, e quindi nemmeno la Francia, abbia chiesto l’attivazione del meccanismo previsto dall’articolo 222 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea. Tale articolo prevede l’attivazione di meccanismi di solidarietà tra gli Stati membri. La domanda se la è recentemente posta anche Jaques Delors (si veda il suo paper la ue face au coronavirus – l’indispensable incarnation politique de la solidarité européenne).

Forse che la Francia non chiede l’attivazione dell’art. 222 del TFUE perché non è alla ricerca la solidarietà tra pari ma vuole approfittare della crisi del coronavirus per promuovere la sua persistente politica di una Europa superstato? Ma perché nemmeno l’Italia richiede l’attivazione dei meccanismi che l’art. 222 del TFUE sottintende?

Europa super Stato o spazio di libertà? Il vero dilemma secondo Balducci

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