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C’è voluta una nota di Palazzo Chigi verso la fine della mattinata di oggi per chiarire che, al contrario di quanto sostenuto da diverse testate giornalistiche, il governo non ha inserito nel decreto-legge sull’emergenza Covid una norma che consente il rinnovo per altri quattro anni degli incarichi dei vertici tecnici dell’intelligence italiana (direttori generali del Dis, dell’Aise e dell’Aisi).

Il comunicato dell’esecutivo sottolinea che la durata degli incarichi rimane quella stabilita dalla vigente legge di riforma – vale a dire fino a quattro anni per la prima nomina, più un massimo di altri quattro per il rinnovo (in gergo amministrativo “quattro più quattro”) – e che la modifica apportata col decreto si limita a consentire che il rinnovo possa avvenire non in un’unica soluzione ma con più provvedimenti (ad esempio uno di due anni seguito da un altro di pari durata, oppure anche quattro incarichi di un anno ciascuno).

Insomma, come si afferma nella relazione illustrativa del provvedimento, una scelta di flessibilità per affrontare al meglio i difficili tempi in cui viviamo,  fermo restando che nessuno può dirigere il Dis o una delle due Agenzie per più di otto anni.

Va per altro precisato che nessun direttore è mai durato tanto; per quanto riguarda il Dis, ad esempio, i primi due direttori – il prefetto De Gennaro e l’ambasciatore Massolo – furono avvicendati alla fine del primo quadriennio, ma si trattò di scelte politiche, perché la legge, come abbiamo appena visto, avrebbe consentito il rinnovo in entrambi i casi.

Questa tendenza a ridurre la durata del mandato si accentuò poi con la nomina del successore di Massolo, il prefetto Pansa, il cui incarico inziale fu biennale, in conformità ad un indirizzo del governo Renzi, esteso a tutto il settore della sicurezza.

Questo indirizzo si è poi consolidato nel tempo fino ad arrivare al caso del prefetto Parente: nominato per un biennio e confermato per un altro biennio, si è visto recentemente prorogare l’incarico di un altro anno con un provvedimento cui si può ora applicare, e sarà ovviamente la prima volta, la nuova norma che, come abbiamo detto, consente di esercitare il potere di conferma non più una volta per tutte, ma anche, per così dire “a rate”, nel rispetto del quadriennio di durata massima.

La seconda volta potrebbe arrivare il prossimo mese di dicembre, quando il Governo dovrà decidere sull’eventuale rinnovo dell’attuale direttore del Dis, prefetto Vecchione: se deciderà in senso positivo, non sarà costretto a esaurire il proprio potere con un solo decreto di uno, due, tre o quattro anni. Potrà invece adottarne uno di durata limitata (ad esempio due, riservandosi di estenderlo successivamente sino al massino di quattro).

Insomma, nel settore della sicurezza la tendenza politica prevalente negli ultimi anni è stata quella di limitare la durata dei mandati anche quando le norme avrebbero consentito periodi tempo più lunghi, mentre con l’ultimo decreto-legge il governo ha ritenuto di disciplinare in maniera più flessibile il potere di conferma, rendendone possibile un uso diluito nel tempo.

Speriamo che si tratti dell’inizio di un processo di riconsiderazione della durata degli incarichi: nessuna organizzazione amministrativa, e in primo luogo quelle che producono sicurezza, può fare a meno di quelle prospettive di certezza organizzativa ed operativa che derivano dalla sufficiente lunghezza del mandato del vertice, il quale deve avere davanti a sé un periodo di tempo congruo per entrare nel ruolo, proporsi degli obiettivi e lavorare alla loro realizzazione dopo aver ottenuto l’avallo dei decisori politici.

O vogliamo pensare che la stabilità sia un bene da perseguire solamente a livello politico? Dati gli scarsissimi risultati fin qui ottenuti su questo terreno dal 1948 ad oggi, pensiamo che condannare all’instabilità anche le amministrazioni della sicurezza sia un buon modo per avviarci tutti verso il peggio.

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